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In Egitto è crisi finanziaria e di fiducia

Carlo Giorgi
14 gennaio 2013
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In Egitto è crisi finanziaria e di fiducia
La sede della Banca centrale egiziana.

A due anni dall’inizio delle rivolte di piazza Tahrir, l’Egitto sta affrontando una delle crisi economiche peggiori della sua storia. E il consistente prestito di 2,5 miliardi di dollari, assicurato a fine dicembre dal Qatar, potrebbe non essere risolutivo. I risparmiatori chiedono di convertire in dollari i loro capitali e le riserve in valuta calano, con conseguenze spiacevoli per l'economia reale.


(Milano) – A due anni dall’inizio della rivoluzione, scoppiata il 25 gennaio 2011, l’Egitto sta affrontando una delle crisi economiche peggiori della sua storia. E il consistente prestito di 2,5 miliardi di dollari, assicurato a fine dicembre dal Qatar, potrebbe non essere risolutivo.

Aiuta a spiegare la situazione economica del Paese la storia di una nave, raccolta in questi giorni dall’agenzia Reuter: la petroliera B Elephant dal 24 dicembre è bloccata col suo prezioso carico nel Mar Rosso, al largo delle coste egiziane. La B Elephant sta aspettando da settimane di poter attraccare per consegnare il petrolio richiesto dall’Ente petrolifero egiziano (l’Egpc un organismo del settore pubblico assimilabile all’italiana Eni – ndr). Glielo impedisce la mancanza delle necessarie garanzie di pagamento, che la Egpc non è in grado di fornire: niente garanzie, niente petrolio, dunque. Ma anche niente elettricità e niente lavoro per le industrie egiziane.

Il fatto è che oggi l’Egitto sta affrontando una gravissima crisi di valuta; al governo mancano i dollari necessari per l’acquisto del cibo (il Paese è il più grande importatore di grano del mondo) e del petrolio: tanto che la Egpc – per il primo trimestre dell’anno – ha potuto acquistare «solo» 3 milioni di barili di petrolio grezzo. Quantità che preoccupa gli economisti perché è considerata insufficiente a rifornire le raffinerie egiziane.

La Banca centrale egiziana, secondo l’agenzia Zawya, negli ultimi due anni ha dovuto spendere la gigantesca cifra di 20 miliardi di dollari per difendere la moneta nazionale; la Banca ha visto prosciugarsi in pochi mesi le proprie riserve in valuta estera, avendone dovuto vendere grandi quantità a imprenditori e semplici cittadini egiziani. Clienti che, temendo la svalutazione dei propri risparmi, si sono affrettati a cambiare in dollari il proprio capitale in valuta locale. Una richiesta di dollari impetuosa come un fiume, che le autorità non riescono più ad arginare. Dollari che però il governo dovrebbe tenere per sé, essenziali come sono per l’import di cibo e carburante.

A fine dicembre, la dirigenza della Banca ha ammesso che la riserva di valuta straniera in suo possesso è arrivata a un «limite minimo critico». La situazione è così insostenibile che, il 10 gennaio, il presidente Mohammed Morsi – per dare un segno di cambiamento – ha nominato un nuovo banchiere centrale (Hisham Ramez).

Certo: a casse vuote i 2,5 milioni di dollari appena arrivati al Cairo, mega prestito del Qatar in valuta americana, rappresentano ossigeno puro. «L’aiuto del Qatar allontana qualche preoccupazione ma è solo una misura provvisoria – ha spiegato però Raza Agha, economista intervistato da Reuters -, soprattutto se la Banca centrale egiziana continua a vendere giornalmente tra i 50 e i 75 milioni di dollari e, contemporaneamente, ne cerca per importare cibo e petrolio».

«Ottenere nuovi prestiti non fa altro che allontanare un po’ i problemi – ha spiegato Tarek El Ghamrawy, del centro Egiziano per gli studi economici, al quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, The National -. Il problema non sarà risolto se non con delle vere riforme e un deciso aumento degli investimenti. Abbiamo bisogno di fabbriche e progetti. Non di altri debiti».

Ma per attuare le riforme occorre il consenso. E quel che preoccupa maggiormente gli economisti è proprio il fatto che l’attuale governo non riesca a guadagnare consenso. I due anni di rivoluzione sono stati segnati da instabilità, disoccupazione crescente e mancanza di introiti del settore turistico (che secondo l’agenzia stampa egiziana Mena nel primo trimestre del 2012 ha perso il 30 per cento di introiti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

Per risanare il Paese occorrono radicali misure di austerità. Una politica rigorosa secondo gli esperti potrebbe aiutare il Paese, tra l’altro, ad assicurarsi un altro importante prestito: quello di 4,8 miliardi di dollari promesso dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Il prestito avrebbe soprattutto il vantaggio di offrire agli investitori e ai donatori internazionali un segnale di stabilità.

I colloqui per concedere il prestito, però, sono stati interrotti lo scorso dicembre dal presidente Morsi, in occasione delle proteste suscitate dalla vicenda della nuova Costituzione. In quel frangente lo scontro politico tra la minoranza laica e maggioranza islamica ha spaccato il Paese in due, provocando manifestazioni sanguinose nelle piazze, e ha reso evidente la mancanza di consenso popolare del governo.

Non solo: nel tentativo di guadagnare un consenso popolare sull’approvazione della Costituzione, il presidente Morsi aveva «congelato» il previsto (e necessario) aumento delle tasse, deciso proprio in seguito a colloqui con il Fmi.

«Quel che mi preoccupa maggiormente, non è tanto la crisi economica ma il modo attuale di gestire la politica – ha commentato gli ultimi eventi Ziad Bahaa Eldin, ex parlamentare del partito socialdemocratico egiziano -. Il modo in cui è stato recuperato consenso intorno alla Costituzione avrà conseguenze anche in materia economica. Più i problemi vengono rinviati, maggiori sono i costi che l’Egitto pagherà».

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