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Le fonti d’acqua usurpate in Cisgiordania censite in un rapporto Onu

Terrasanta.net
22 marzo 2012
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Le fonti d’acqua usurpate in Cisgiordania censite in un rapporto Onu
La fonte di Ein Al Ariq, non lontana da Nablus. I coloni israeliani l'hanno rinominata Ein Hagvura (foto Ocha)

Alla vigilia dell'odierna Giornata mondiale dell’acqua, l’ufficio delle Nazioni Unite che coordina gli interventi umanitari nei Territori Palestinesi occupati ha pubblicato un rapporto sulla Cisgiordania. Vi si denuncia come la presenza di coloni israeliani abbia compromesso l'accesso dei palestinesi a più di cinquanta fonti d'acqua...


(Milano/c.g.) – Ricorre oggi la Giornata mondiale dell’acqua, indetta dalle Nazioni Unite per affrontare il tema delicatissimo del corretto utilizzo del patrimonio idrico del pianeta. In Medio Oriente, dove le risorse idriche scarseggiano o sono mal utilizzate, la Giornata viene celebrata con una certa comprensibile apprensione. La penuria d’acqua nella regione la rende così ricercata da trasformarla in oggetto di contesa anche militare; o nel fattore che può decidere il livello di povertà della popolazione e la sua stessa sopravvivenza.

L’Ocha/Opt, l’ufficio delle Nazioni Unite che coordina gli interventi umanitari nei Territori Palestinesi occupati, ha appena pubblicato un rapporto, redatto in arabo, ebraico e inglese, dal titolo: L’impatto umanitario degli espropri delle fonti d’acqua palestinesi da parte dei coloni israeliani. Si tratta di un lavoro d’indagine svolto dai funzionari Ocha nel corso del 2011 nel quale si denuncia come la presenza dei coloni israeliani in Cisgiordania abbia compromesso l’accesso dei palestinesi alle fonti d’acqua del loro territorio, causando gravi danni all’economia e alla vita della popolazione araba.

L’organismo Onu ha individuato 56 fonti d’acqua contese in Cisgiordania, la maggior parte delle quali si trova nella cosiddetta Area C, il territorio che, secondo gli accordi di Oslo, pur essendo palestinese è sotto amministrazione israeliana. Delle fonti censite, 30 sono risultate essere ormai sotto il completo controllo dei coloni israeliani, senza alcuna possibilità di accesso da parte dei palestinesi. In almeno 22 di questi 30 casi, l’accesso dei palestinesi viene impedito con atti di intimidazione, minacce e violenze; in altri quattro casi, dalla costruzione di barriere fisiche e dall’annessione della fonte alla colonia stessa; mentre negli ultimi quattro casi, l’isolamento della fonte d’acqua è causato dal muro di separazione o dall’inglobamento del terreno in un’area ad esclusivo uso militare. Secondo Ocha, le rimanenti 26 fonti non ancora sotto controllo dei coloni, sono tuttavia «a rischio»: infatti, coltivatori e residenti palestinesi denunciano l’intensificarsi di «visite» di coloni armati nelle vicinanze delle fonti, visite che hanno l’effetto di scoraggiare i palestinesi all’utilizzo della propria acqua.

L’appropriazione delle fonti d’acqua da parte dei coloni avviene spesso in modo graduale: vicino a molte di queste fonti i coloni hanno costruito infrastrutture turistiche per l’accoglienza di visitatori israeliani. A volte viene dato un nome ebraico a fonti da sempre arabe e questo fa acquisire una nuova identità ebraica al territorio e alla fonte stessa. Il problema è che spesso le fonti d’acqua espropriate sono l’unica risorsa che gli agricoltori palestinesi hanno per irrigare i loro campi. Quei palestinesi che non sono allacciati alla rete idrica pubblica, poi, hanno assoluto bisogno delle fonti d’acqua anche per le loro necessità domestiche.

Il rapporto dell’Ocha si conclude con alcune precise raccomandazioni alle autorità israeliane: in particolare, invita a limitare l’accesso di israeliani (anche coloni) nei Territori; sollecita la restituzione delle fonti ai palestinesi e un’indagine rispetto a casi di violenza perpetrata dai coloni per l’acquisizione delle fonti; e la vigilanza per fermare le «visite» indesiderate dei coloni presso i terreni privati palestinesi dove appunto si trovano le fonti.

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Francesco D'Assisi

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