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Il vescovo di Luxor: «I nostri giovani sognano un Egitto laico»

Carlo Giorgi
25 giugno 2011
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Il vescovo di Luxor: «I nostri giovani sognano un Egitto laico»
Il vescovo copto-cattolico di Luxor, mons. Youhannes Ezzat Zakaria Badir (61 anni). (foto C. Giorgi)

«A chi mi chiede cosa succederà in Egitto, dopo la cacciata di Mubarak, rispondo: “Questo è il tempo dell'attesa. Siamo solo all'inizio, nessuno può dire cosa avverrà. Per stabilizzare la situazione ci vorranno almeno dieci anni...”». È cauto mons. Youhannes Ezzat Zakaria Badir, vescovo copto cattolico di Luxor, ma anche pieno di speranza. Nostra intervista.


(Milano) – «A chi mi chiede cosa succederà ora in Egitto, dopo la cacciata di Mubarak, rispondo: “Questo è il tempo dell’attesa. Per certi versi, vedo la rivoluzione dei giovani come la rivoluzione francese: siamo solo all’inizio, nessuno può dire cosa avverrà dopo. Per stabilizzare la situazione ci vorranno almeno dieci anni…”. È prudente mons. Youhannes Ezzat Zakaria Badir, vescovo copto cattolico di Luxor nell’Alto Egitto. La sua diocesi si estende in una vasta regione del Paese, famosa per le attrattive turistiche (templi e necropoli, bellezze del Mar Rosso), ma segnata anche da una grande povertà sia economica sia culturale.

Eccellenza, oggi tra i cristiani d’Egitto è maggiore la speranza o la paura del futuro?
In effetti c’è molta speranza, così come molta paura. La rivoluzione non poteva non scoppiare. Doveva succedere. Guardi, io sono nato nel 1949. Nella mia vita ho conosciuto tre presidenti: Nasser, Sadat e Mubarak. In pratica ho sempre vissuto sotto una dittatura e ho visto quattro guerre (’48 – ’56 – ’67 – ’73) che hanno fatto dell’Egitto un Paese povero. Così da noi i giovani finiscono gli studi e non trovano lavoro, casa, niente… I ricchi diventano più ricchi, i poveri più poveri. Sono costretti a emigrare, ma nessuno di loro, credo, vorrebbe dover affrontare i pericoli dell’emigrazione: morire in mare o essere arrestati da una polizia straniera. Però a differenza dei giovani di altre generazioni, quelli di oggi hanno Internet e Facebook e vedono come vivono i loro coetanei in America ed Europa. E proprio attraverso Facebook hanno indetto le prime manifestazioni. A dire la verità, io pensavo che anche questa protesta, come quelle che ci sono state negli scorsi anni, non avrebbe funzionato. E, grazie a Dio, anche Hosni Mubarak forse lo ha pensato: non ha reagito, non ha capito come sarebbe andata. Quando la protesta è arrivata a Luxor, i miei giovani sono andati in piazza con i musulmani e io sono stato loro vicino con la preghiera e il consiglio, ho indicato che dovesse essere una protesta pacifica, senza provocare danni alla proprietà privata o pubblica. Dopo quasi un mese Mubarak, l’11 febbraio ha dovuto lasciare il potere. L’esercito ha preso in mano la situazione e attualmente noi siamo nell’attesa e nella speranza che venga creato in Egitto un regime civile, democratico e laico, che garantisca anche la libertà per tutti e specialmente la libertà religiosa.

E se questo non dovesse accadere?
La mia speranza sono i nostri giovani. E loro hanno accettato la sfida: se viene creato uno Stato laico e civile, dicono i giovani, è un bene; se no le piazze sono aperte e scenderemo ancora a chiedere un governo capace di dare una svolta per la dignità umana e di garantire tutti. In Egitto il problema è il sentimento religioso, che è così forte sia presso i musulmani, sia presso i cristiani. Quando si pensa, non lo si fa con la pura razionalità, ma con questo sentimento religioso, per cui si è portati a schierarsi contro gli altri. Poi ci sono tre pericoli che condizionano il futuro: il primo è l’ignoranza, per cui il 90 per cento degli egiziani non può contare davvero su una maturità culturale e politica; il secondo è la povertà, radicata specialmente nell’Alto Egitto, e nella mia diocesi, dove molte persone, che non hanno il pane quotidiano, pur di mangiare possono essere influenzate da qualsiasi pensiero; poi c’è la malattia. Questi tre elementi sono in grado di condizionare le cose. È vero che i Fratelli musulmani (movimento politico islamista da poco riammesso sulla scena politica – ndr) sono i più organizzati e magari domani saranno in grado di vincere le elezioni. Ma i giovani continueranno a lottare per uno Stato laico. Come vescovi, quello che ci preme ora è di frenare in ogni modo l’emigrazione dei giovani cristiani. Qualcuno dice che da quando è caduto Mubarak l’emigrazione dei cristiani è aumentata. Speriamo che non sia vero. La diaspora è un male che soffrono tutti i Paesi del Medio Oriente. Come vescovi cerchiamo di incoraggiare i giovani a restare, anche con aiuti materiali. Quando possiamo, li aiutiamo a comprare una casa, a mettere in piedi un piccolo progetto, e chiediamo di rimanere.

Fino ad oggi come sono state le condizioni dei cristiani in Egitto?
Abbiamo sofferto molto. I cristiani d’Egitto sono come cittadini di seconda classe, e anche per il culto e la costruzione di una chiesa non abbiamo avuto una grande libertà. Però la minoranza cristiana d’Egitto è la più numerosa e viva che sia rimasta nel mondo islamico arabo. E forse verrà il giorno, nella storia della Chiesa, di studiare come i copti abbiano conservato la fede. Nel Nord dell’Africa, le Chiesa che furono di san Cipriano, di sant’Agostino, di Tertulliano sono sparite dalla Tunisia e dall’Algeria. Mentre in Egitto i cristiani ci sono fin dal primo secolo e sono ancora vivi e forti. Fanno quasi paura alla maggioranza musulmana che vorrebbe bloccare le loro attività e sostiene che l’Egitto deve essere un Paese musulmano. Con tutto il rispetto per i nostri fratelli musulmani, noi siamo qui e vogliamo rimanere. Siamo cittadini egiziani dalla nascita, non siamo venuti dall’estero… Quante prove e persecuzioni hanno subito i nostri antenati… È per questo che noi portiamo sempre la croce tatuata sul polso (e monsignor Zakaria mi mostra due tatuaggi, ormai sbiaditi, che porta sul polso destro – ndr). Forse la forza della nostra fede dipende dalle comunità di monaci del deserto che in Egitto non sono mai mancati, dal tempo di sant’Antonio abate. Sant’Antonio nacque vicino alla mia città natale e quando vedo una statua o un’icona di sant’Antonio, mi sento pieno di orgoglio spirituale.

Come è composta la sua diocesi?
Oggi ho quasi 19 mila fedeli divisi in 22 parrocchie. Posso contare su 26 sacerdoti di cui 12 diocesani e una cinquantina di suore. I religiosi sono gesuiti, comboniani e francescani. Ma devo dire grazie soprattutto ai francescani. Dieci delle mie parrocchie sono tenute da loro e tre delle sette congregazioni femminili che lavorano in diocesi sono francescane. La loro presenza è così importante che, scherzando, mi chiamano «il vescovo dei francescani». In tutto l’Egitto, noi copti cattolici siamo un piccolo numero: tra i 400 e i 500 mila; una goccia nel mare dei copti ortodossi (che sono tra gli otto e i dieci milioni) e nell’oceano dei musulmani (più di 70 milioni). Siamo una goccia, è vero, ma una goccia molto importante: perché il clero cattolico è portatore di cultura ed istruzione. In Egitto ci sono circa 200 scuole gestite dalla Chiesa cattolica. Scuole di prestigio e di formazione. In un Paese in cui la maggior parte dei cittadini ha bisogno di istruzione, questo è molto importante. Inoltre, i copti cattolici hanno un ruolo fondamentale per il dialogo: cerchiamo di essere aperti verso i nostri fratelli copti ortodossi, musulmani o evangelici. Nelle scuole, nei dispensari, negli asili la nostra porta è sempre aperta per tutti al di là delle divisioni religiose. Questa è una grande missione che fa della Chiesa cattolica una Chiesa universale. Il nostro scopo non è di convertire gli ortodossi o i musulmani, ma di aiutare l’uomo nella sua sofferenza. Sia la sofferenza fisica e mentale, sia quella sociale ed economica. E farlo diventare più religioso nella sua religione. La testimonianza attraverso le opere è una delle indicazioni per i cattolici del Medio Oriente emerse dal recente Sinodo dei vescovi. I copti cattolici di Egitto lo fanno da molto tempo.

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