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Voci dal Sinodo: «Non tacere rispetto ai drammi che viviamo»

Manuela Borraccino
13 ottobre 2010
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La necessità di «non tacere» rispetto alla «situazione drammatica» della Chiesa di Terra Santa, la denuncia delle «ondate di terrorismo, ispirate da ideologie religiose che negano il principio stesso della parità, ma anche la «frammentazione» ecclesiale e istituzionale delle comunità cristiane in Medio Oriente sono stati i temi al centro degli interventi, tra ieri pomeriggio e stamane, dei padri sinodali riuniti in Vaticano.


(Città del Vaticano) – La necessità di «non tacere» rispetto alla «situazione drammatica» della Chiesa di Terra Santa, la denuncia delle «ondate di terrorismo, ispirate da ideologie religiose, siano esse islamiche o totalitarie, che negano il principio stesso della parità, a vantaggio di un negazionismo fondamentalista che schiaccia le minoranze», soprattutto in Iraq, ma anche la «frammentazione» ecclesiale e istituzionale delle comunità cristiane in Medio Oriente sono stati i temi al centro degli interventi, tra ieri pomeriggio e stamane, dei padri sinodali riuniti in Vaticano.

Il dibattito sinodale è entrato ormai «nel vivo» con gli interventi in aula, programmati e liberi, che procedono con vivacità e «grande franchezza» come ha riferito oggi il responsabile dei briefing ai giornalisti di lingua italiana, padre Giorgio Costantino. Gli interventi sono stati già 84 nei primi due giorni e mezzo, con 48 relazioni e 36 pronunciamenti liberi, mentre stamane è stata la volta dei Circoli minori: sei gruppi di lavoro in lingua francese, due in inglese e due in araba (a questi ultimi assistevano anche i due rappresentanti musulmani, l’ayatollah iraniano Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi e l’imam libanese Muhammad Al-Sammak, che interverranno in aula domani pomeriggio). Sono stati numerosi gli interventi dedicati alle conseguenze «drammatiche» del conflitto israelo-palestinese anche dai vescovi europei come mons. Pierre Buercher, vescovo di Reykjavik (Islanda), e del Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro, cardinal John Foley, che ha reso noto come l’organizzazione cattolica che presiede, di recente abbia fatto pervenire una donazione di 50 milioni di dollari alle comunità di Terra Santa.

Il patriarca di Damasco dei greco-melchiti Gregorio III Laham ha parlato di come le minacce per i cristiani vengano principalmente «dai cicli di guerre che si abbattono su questa regione», prima fra tutte «il conflitto israelo-palestinese» che ha come conseguenze «i movimenti fondamentalisti, il movimento Hamas, Hezbollah» così come «le discordie esterne, la lentezza nello sviluppo, il sorgere dell’odio, la perdita della speranza nei giovani che sono il 60 per cento della popolazione dei Paesi arabi». Il patriarca ha messo in guardia contro i rischi dell’emigrazione cristiana che «farà della società araba una società di un solo colore, unicamente musulmana di fronte ad una società europea detta cristiana». «Se questo accadesse e l’Oriente dovesse svuotarsi dei suoi cristiani – ha avvertito -, vorrebbe dire che ogni occasione sarebbe propizia per un nuovo scontro delle culture, delle civiltà e anche delle religioni, uno scontro distruttivo fra l’Oriente arabo musulmano e l’Occidente cristiano».

«Per convincere i cristiani a restare – ha detto – pensiamo che sia necessario rivolgerci ai nostri fratelli musulmani per dire loro con franchezza quali sono le nostre paure: la separazione della religione e dello Stato, l’arabità, la democrazia, nazione araba o nazione musulmana, diritti dell’uomo e leggi che propongono l’islam come unica o principale fonte delle legislazioni che costituiscono un ostacolo all’uguaglianza di questi stessi concittadini davanti alla legge. Vi sono anche i partiti fondamentalisti, l’integralismo islamico, ai quali sono attribuiti atti, di terrorismo, di uccisioni, degli incendi di chiese, di estorsioni, in nome della religione e che, forti del fatto di essere maggioranza, umiliano i loro vicini». La vera «guerra santa» ha detto il patriarca è la riconciliazione: «fare la pace è la grande sfida: è la grande jihad e il grande bene. È la vera vittoria e la vera garanzia per il futuro della libertà, della prosperità e della sicurezza per i nostri giovani, cristiani e musulmani, che sono il futuro delle nostre Patrie».

Il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha ricordato l’esclusività e unicità della Chiesa madre di Terra Santa, «una realtà molto concreta e viva», dalla quale derivano «conseguenze ecclesiali e pastorali importanti per la Chiesa universale». Egli ha espresso gratitudine per quanto la Santa Sede, le varie conferenze episcopali e singole diocesi fanno per sostenere i cristiani di Terra Santa, ma ha anche chiesto di non lasciare la Chiesa madre «sola e isolata». «Aiutatela con le vostre preghiere, il vostro amore e la vostra solidarietà, evitando che diventi un grande museo a cielo aperto. Tacere per paura dinanzi alla situazione drammatica che conoscete sarebbe un peccato di omissione», ha rimarcato. «La comunità cristiana in Terra Santa – ha aggiunto – soffre per la violenza e l’instabilità. È una Chiesa del Calvario. Ha la grande responsabilità di perpetuare il messaggio di pace e di riconciliazione. Malgrado le difficoltà che sembrano insormontabili, crediamo in Dio, Signore della storia».

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha ricordato come «la prospettiva pastorale in Terra Santa parta dalla situazione piuttosto che dalla vocazione della Chiesa» che è quella di «abitare lo spazio dell’Incarnazione»: «i luoghi santi di Terra Santa – ha sottolineato – non sono solo punto fermo dell’identità cristiana locale, ma sono memoria viva dell’Incarnazione. Questa non è avvenuta solo nel tempo, ma anche in uno spazio. Abitare quello spazio è la nostra vocazione». Per questo «i pellegrinaggi e il carattere multireligioso della Chiesa di Terra Santa ci chiedono di essere Chiesa sempre più estroversa, ospitale, aperta agli altri. Essere minoranza ci sprona ad essere più propositivi. Le istituzioni della Chiesa sono una viva testimonianza di tale propositività. A noi cristiani di Terra Santa – ha concluso il francescano – spetta di ricordare il nostro dovere di custodire il carattere cristiano della Terra del Signore».

La preoccupazione per la sorte dei cristiani in Iraq è stata al centro dell’intervento dell’arcivescovo di Mossul dei Siri, mons. Basile Georges Casmoussa, che ha denunciato come le minoranze cristiane in Medio Oriente siano «notevolmente devastate» da vari fattori: in primis l’emigrazione galoppante; le ondate di terrorismo, «ispirate da ideologie religiose o totalitarie, che negano il principio stesso della parità, a vantaggio di un negazionismo fondamentale che schiaccia le minoranze, delle quali i cristiani sono l’anello più debole»; il calo demografico tra i cristiani a vantaggio dei musulmani; «l’ingiusta accusa mossa contro i cristiani di essere delle truppe assoldate o guidate da e per l’Occidente sedicente “cristiano”, considerati quindi come un corpo parassita della Nazione».

«Presenti e attivi qui molto prima dell’islam – ha detto mons. Casmoussa – i cristiani si sentono indesiderati a casa propria, che diventa sempre più una “Dar el-Islam” riservata. L’Occidente stesso non è più tenero, con il termine “cristiano” che per lui non evoca se non la dimensione religiosa. Quasi mai si ricorda l’aspetto sociale di un gruppo umano leso nei suoi diritti fondamentali, nella sua identità culturale, nei suoi beni, nella sua stessa esistenza a causa della sua religione. Ecco dunque il cristiano orientale in un Paese islamico condannato a scomparire o all’esilio». «Allarmante», ha detto il presule, è quanto sta accadendo oggi in Iraq.

Casmoussa ha infine denunciato «lo stato di frammentazione delle comunità cristiane in Medio Oriente: divisioni istituzionali ecclesiali e identitarie di Chiese locali attaccate alle loro autonomie, un tempo su base dottrinale e territoriale o linguistica, erette artificialmente secondo un nazionalismo etno-politico (l’Iraq attuale ne è un esempio), pur facendo riferimento alla stessa linfa patristica e linguistica, avendo subito la stessa sorte storica di “dhimmitudine”, con il futuro oscurato, per tutti, dagli stessi sintomi di disgregazione e a causa di fattori sia esterni sia interni».

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