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Usa, Israele e Palestina. I nuovi negoziati nascono zoppi

12/03/2010  |  Milano
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Usa, Israele e Palestina. I nuovi negoziati nascono zoppi
Il vicepresidente Usa, Joe Biden, si congeda dal presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a Ramallah il 10 marzo scorso. (foto White House/D. Lienemann)

Il vice presidente degli Stati Uniti Joe Biden dall'8 all'11 marzo ha visitato Israele e i Territori Palestinesi per  lanciare ufficialmente i negoziati indiretti tra governo israeliano e Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), resi possibili dalla mediazione statunitense. Venuto a rassicurare gli israeliani sull'intento americano di tutelare la loro sicurezza, anche davanti alla minaccia iraniana, e a spronarli a fare scelte coraggiose insieme con i dirigenti palestinesi, Biden è stato però messo in imbarazzo da un improvvido annuncio israeliano su nuovi insediamenti a Gerusalemme Est.


Il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden l’8 marzo scorso è giunto a Gerusalemme – il 10 ha fatto tappa a Ramallah – per un soggiorno di cinque giorni che intendeva lanciare ufficialmente i negoziati indiretti tra governo israeliano e Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), resi possibili dalla mediazione statunitense. I due contendenti fanno un passo indietro rispetto alle trattative dirette intavolate tra il capo dell’Olp Abu Mazen e il primo ministro israeliano Ehud Olmert fino all’autunno 2008, ma almeno dovrebbe riaprirsi un canale di comunicazione tra i massimi dirigenti politici israeliani e palestinesi.

Biden ha rassicurato e spronato sia il capo dello Stato israeliano Shimon Peres sia il primo ministro Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo, nella conferenza stampa che lo ha visto a fianco dell’ospite americano, ha rimarcato più volte la sua lunga e personale amicizia con il numero due della Casa Bianca e gli strettissimi legami tra Israele e Usa. Ha poi evocato le due principali sfide: «Innanzitutto la necessità di impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari» e, in secondo luogo, «il bisogno di promuovere una pace sicura tra Israele e i palestinesi e gli altri vicini arabi».

Per il primo ministro è bene che le sanzioni internazionali contro Teheran siano le più drastiche possibili, così da indurre il regime iraniano a scegliere tra la propria sopravvivenza e l’attuazione del programma nucleare militare.

Il vicepresidente ha osservato che rispetto all’Iran gli interessi israeliani e americani coincidono e ribadito che gli Stati Uniti sono e rimangono incollati a Israele, soprattutto se si tratta di difenderne la sicurezza. Obama e il suo vice sono però anche convinti che la migliore garanzia per lo Stato ebraico sia giungere alla pace con i palestinesi, la Siria e il Libano, per poi normalizzare le relazioni con tutto il mondo arabo.

Washington medierà perché palestinesi e israeliani tornino presto a un confronto diretto che tocchi le questioni centrali che li separano e permetta di dar corpo alla «soluzione dei due Stati, con Israele e la Palestina che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza».

Cercando di pensare positivo, Biden ha rammentato tra «i passi significativi» compiuti nell’ultimo anno dal governo Netanyahu l’allentamento della rete di posti di blocco in Cisgiordania e «la moratoria (di dieci mesi – ndr) che limita la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania».

Un grave incidente diplomatico ha però guastato il clima solo poche ore dopo la conferenza stampa: un ufficio del ministero dell’Interno israeliano rendeva noto d’aver autorizzato la costruzione di 1.600 nuove case nel quartiere ultraortodosso di Ramot Shlomo situato a Gerusalemme Est e dunque ritenuto illegale dai palestinesi, dal governo statunitense e dalla comunità internazionale. Immediata la levata di scudi della dirigenza palestinese, sottolineata il giorno 10 nei colloqui di Biden con Abu Mazen e il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Salam Fayyad, che hanno chiesto di annullare la decisione.

Molti israeliani hanno espresso sconcerto per l’inopportuna tempistica dell’annuncio, se non per il suo contenuto. La stampa nazionale e internazionale ha parlato di umiliazione inflitta a Biden, il quale, con l’avallo dell’inquilino della Casa Bianca, ha subito diffuso un secco comunicato che esordisce così: «Condanno la decisione del governo di Israele di dar seguito al piano per la costruzione di nuove unità abitative a Gerusalemme Est. La sostanza e la tempistica dell’annuncio, che coincide con il lancio dei negoziati indiretti, è esattamente il genere di passi che minano la fiducia di cui abbiamo bisogno in questo momento e che vanno in direzione contraria ai colloqui costruttivi che abbiamo avuto qui in Israele».

Il ministro dell’Interno israeliano, Eli Yishai, e il capo del governo si sono scusati con Biden per il «grave imbarazzo» creato da un annuncio dato in un momento inopportuno. Netanyahu ha precisato che l’autorizzazione concessa è solo un via libera iniziale. Per procedere ne serviranno altri e i lavori sul terreno richiederanno comunque qualche anno. Dichiarazione che rappresenta il minimo sindacale perché il vicepresidente Usa potesse lasciare Israele, l’11 marzo, senza rimetterci del tutto la faccia.

Prima di partire alla volta di Amman, ultimo scalo prima del rientro a Washington, Joe Biden ha tenuto il suo unico discorso pubblico davanti agli studenti dell’Università di Tel Aviv, parlando per un’ora abbondante e rispondendo a tre domande finali dei ragazzi.

Nella parte saliente del suo intervento, il vice di Obama ha nuovamente ricordato la comunanza di interessi tra Usa e Israle, l’assoluta vicinanza del governo americano, che con l’attuale amministrazione ha intensificato la collaborazione anche militare con lo Stato ebraico; l’impegno a riportare a più miti consigli l’Iran, obbligandolo a rinunciare all’atomica e a smettere di foraggiare terroristi e movimenti come Hamas e Hezbollah. Ma Biden è stato fermo nel ripetere a chiare lettere che la soluzione dei due Stati in Terra Santa è nell’interesse stesso di Israele: anche se la strada non sarà facile bisogna percorrerla sino in fondo, nella consapevolezza che la situazione attuale è insostenibile. È tempo di scelte coraggiose tanto per Israele quanto per i palestinesi. «Gli Stati Uniti sono pronti ad aiutarvi ma non possono volere la pace più di quanto la vogliate voi», è il messaggio di Biden, che aggiunge: i leader israeliani sappiano che Abu Mazen e Salam Fayyad sono gli interlocutori giusti. Come dire: vietato scantonare!

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Francesco D'Assisi

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