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Weil, Dio, la Chiesa

Daniele Civettini
2 dicembre 2008
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Weil, Dio, la Chiesa

In questa silloge di scritti di Simone Weil, raccolta postuma dal domenicano padre Joseph-Marie Perrin, e da lui intitolata Attesa di Dio - recentemente riedita da Adelphi a cura di Maria Concetta Sala -, si dipana l'esperienza e il pensiero religioso di una delle figure più affascinanti e controverse del Ventesimo secolo. La raccolta contiene alcune lettere e varie riflessioni della filosofa. Il pregio dell'edizione Adelphi sta nel riportare in appendice le varianti non inserite dall'autrice nella redazione definitiva dei suoi scritti.


«In definitiva – diceva Simone Weil nel 1942 – il contatto con Dio è l’autentico sacramento». Da duemila anni a questa parte, l’evento più straordinario che possa accadere ad un’anima, in verità accade di frequente. A Messa, durante una confessione, ricevendo lo Spirito Santo nella cresima: almeno per i cristiani il contatto dell’anima con Dio caratterizza i sacramenti della Chiesa. Ma la percezione della presenza di Dio colma talvolta nell’anima la distanza tra l’enigma e la visione, e compie la differenza tra il rito e la mistica: Simone Weil, la grande mistica e pensatrice, rifiutò il battesimo e rimase sulla soglia della Chiesa istituzionale.

Con timore e tremore, consapevole di esporre a rischio la sua anima in tutti i casi, Simone Weil contemplò il disegno di Dio, il mistero del suo ritrarsi per creare e il mistero di racchiudere l’universo docile e l’umanità libera tra la Croce e la Trinità, e fece questo da una posizione defilata perché riteneva che le braccia della croce di Cristo abbracciassero un ambito spaziale e temporale più grande di quello occupato dalla Chiesa militante. Per questo attese di essere «costretta» da Gesù a compiere un passo verso l’altare e il fonte battesimale, e il momento non giunse mai: Simone Weil non entrò nel numero dei molti «chiamati» che in due millenni hanno attinto al tesoro dei sacramenti della Chiesa, ma fece parte dei pochissimi «eletti» che più pienamente hanno saputo svelare in tutte le epoche e a partire da diverse culture come Dio si avvicini all’uomo somministrando la sua presenza nella bellezza, nella sventura, nell’amore libero verso il prossimo, a cavallo della linea sottile e decisiva che separa l’obbedienza cosciente del santo dalla necessità apparentemente brutale con cui si muovono gli oggetti, gli animali e gli uomini svuotati dalla ricerca del bene.

Nella silloge di scritti di Simone Weil, raccolta postuma dal domenicano padre Joseph-Marie Perrin, e da lui intitolata Attesa di Dio, recentemente riedita da Adelphi a cura di Maria Concetta Sala, si dipana l’esperienza e il pensiero religioso di una delle figure più affascinanti e controverse del Ventesimo secolo. La raccolta contiene alcune lettere (tra cui un’«autobiografia spirituale» frutto del dialogo tra la filosofa e il Perrin e contenente i motivi della rinuncia ai sacramenti della Weil), le «Forme dell’amore implicito di Dio», un commento al Padre Nostro (preghiera che la Weil recitava sempre), «L’amore di Dio e la sventura», una brevissima «Riflessione sul buon uso dei testi scolastici in vista dell’amore di Dio», «I tre figli di Noè», in cui si analizza l’episodio di Genesi 9, 20-27 (ubriachezza di Noè e maledizione di Canaan) sotto la luce del rapporto tra cultura ebraica e greca classica. Il pregio dell’edizione Adelphi consiste nel riportare in appendice le varianti non inserite dall’autrice nella redazione definitiva dei suoi scritti, frammenti e minute che nella maggior parte dei casi non hanno interesse meramente filologico, ma aiutano ad approfondire la conoscenza di un testo base della storia del pensiero del Novecento.

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