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Precipita la crisi umanitaria a Gaza

23/01/2008  |  Milano
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Precipita la crisi umanitaria a Gaza
Al confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto, sfondato in alcuni punti nella notte del 23 gennaio, gruppi di palestinesi vanno ad approvvigionarsi in territorio egiziano.

Da alcuni giorni una nuova crisi è esplosa in Terra Santa. Al centro, ancora una volta, la Striscia di Gaza, roccaforte di Hamas, ma anche teatro delle incursioni aeree e terrestri delle forze armate israeliane a caccia di nemici. Ai raid aerei israeliani, che solo nella giornata del 15 gennaio hanno fatto 18 morti (alcuni del tutto innocenti), dalla Striscia hanno risposto con una pioggia di colpi di mortaio e di razzi Qassam. Per rappresaglia Israele ha stretto la morsa dell'embargo e la situazione è precipitata. Fino alla decisione egiziana di oggi, di non opporsi allo sconfinamento di migliaia di palestinesi convenuti al valico di Rafah per acquistare cibo, carburante e ogni genere di merci.


(g.s.) – George W. Bush aveva da pochi giorni lasciato Israele e i Territori dell’Autorità nazionale palestinese con la sua professione di ottimismo circa la possibilità di raggiungere la pace entro il 2008, termine che coincide con la fine del suo mandato come presidente degli Stati Uniti, quando in Terra Santa è esplosa una nuova crisi.

Al centro, ancora una volta, la Striscia di Gaza, roccaforte degli estremisti di Hamas, rampa di lancio dei rudimentali razzi Qassam che colpiscono la cittadina israeliana di Sderot e altre località nel deserto del Negev, ma anche teatro delle incursioni aeree e terrestri delle forze armate israeliane a caccia di nemici.

L’incupirsi della situazione è stato determinato dai raid aerei israeliani contro i combattenti palestinesi portati a termine intorno alla metà di gennaio. Solo in una giornata, il 15 gennaio, hanno fatto 18 morti (alcuni del tutto innocenti). Nell’arco di quella stessa settimana i media hanno riferito di 35 vittime. Dalla Striscia s’è reagito con colpi di mortaio e numerosi Qassam (Israele dice di averne contati 200 in pochi giorni) che, pur causando meno morti dell’aviazione israeliana, costringono i civili israeliani a vivere nel terrore e in continuo stato di allerta.

Per rappresaglia il governo israeliano ha deciso di stringere la morsa dell’embargo imposto ai palestinesi che vivono a Gaza, sigillando i valichi anche per i convogli che trasportano carburanti e beni di prima necessità. La decisione ha azzoppato persino l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (l’Unrwa) che da decenni opera in favore della popolazione palestinese. I suoi funzionari hanno dichiarato l’impossibilità di distribuire derrate alimentari a 860 mila persone qualora dovessero esaurirsi (ed è questione di giorni) i sacchi di nylon e contenitori per generi come la farina.

Giorno dopo giorno la tensione è montata. Se il primo ministro israeliano Ehud Olmert ammoniva che non avrebbe lasciato tranquilli i palestinesi di Gaza finché non avrebbe avuto fine il lancio di razzi sulla regione del Negev, l’Egitto e la Lega araba alzavano la voce denunciando la violazione dei diritti basilari della popolazione e chiedendo a Israele di fare marcia indietro. Anche l’Unione Europea, nella persona del Commissario per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner, affermava la sua opposizione a ogni forma di «punizioni collettive» tali da privare gli abitanti di Gaza di cibo, carburante per gli autoveicoli, elettricità e accesso alle cure mediche.

Per il suo fabbisogno di energia elettrica la Striscia di Gaza è lungi dall’essere autosufficiente. Solo il 32 per cento dell’energia richiesta è prodotto da una centrale elettrica privata che sorge entro i confini. L’impianto, però, funziona con carburante che viaggia su autobotti provenienti dal territorio israeliano. La chiusura dei valichi ha costretto la centrale, rimasta a secco, a sospendere la produzione, lasciando senza energia parte delle famiglie. Messo alle strette dalle denunce della stessa stampa israeliana e dalle proteste internazionali, il governo di Israele in un primo momento ha attribuito tutta la responsabilità alla dirigenza di Hamas. Recita un comunicato del ministero degli Esteri emesso il 20 gennaio: «La fornitura di elettricità a Gaza dagli impianti di Israele e dell’Egitto (124 e 17 megawatt rispettivamente) continua ininterrotta. Questi 141 megawatt rappresentano circa i tre quarti del fabbisogno elettrico di Gaza. La fornitura di carburanti invece è effettivamente stata ridotta, a causa degli attacchi missilistici di Hamas, ma la decisione di utilizzare il carburante rimasto per usi diversi dalla produzione di energia per usi domestici è interamente a carico di Hamas. (…) Si noti che mentre la popolazione resta al buio, l’attività di produzione dei razzi continua senza sosta, con il conseguente impiego del carburante necessario».

Poi il gabinetto Olmert ha, almeno in parte, ammorbidito le sue posizioni promettendo che per qualche giorno permetterà l’afflusso di 2 milioni e 200mila litri di gasolio industriale, di 500mila litri di carburante diesel per i generatori e di gas per usi domestici.

Intanto, però, nella parte meridionale della Striscia è stata abbattuta in alcuni punti la barriera che sorge sulla linea di confine con l’Egitto. Folti gruppi di palestinesi hanno sconfinato per approvvigionarsi di ogni sorta di merci, con il beneplacito della polizia di frontiera egiziana che dal presidente Hosni Mubarak ha ricevuto l’ordine di lasciar correre per ragioni umanitarie.

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