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Le riflessioni natalizie di mons. Sabbah

28/12/2007  |  Gerusalemme
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Le riflessioni natalizie di mons. Sabbah

In marzo il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, compirà 75 anni e come ogni altro vescovo presenterà le dimissioni. Quello appena celebrato a Betlemme potrebbe dunque essere stato per lui l'ultimo Natale nelle vesti di patriarca. Né il messaggio natalizio che ogni anno il presule indirizza ai fedeli della sua diocesi, né l'omelia della notte santa - pronunciata durante la Messa solenne nella chiesa di Santa Caterina, attigua alla basilica della Natività a Betlemme - contengono tuttavia espressioni di congedo. Michel Sabbah ha preferito tenere fisso lo sguardo sul mistero dell'Incarnazione di Gesù per trarne come di consueto alcune conseguenze per l'oggi della Terra Santa. Ecco alcuni passaggi salienti dei suoi due interventi.


Il prossimo 19 marzo il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, compirà 75 anni e come ogni altro vescovo del mondo, in base alle norme del codice di diritto canonico, presenterà le dimissioni al Papa. Se Benedetto XVI le accoglierà il ministero di patriarca passerà all’attuale arcivescovo coadiutore, mons. Fouad Twal (67).
Quello appena celebrato a Betlemme potrebbe dunque essere stato per Sabbah l’ultimo Natale nelle vesti di patriarca. Né il messaggio natalizio che ogni anno il presule indirizza ai fedeli della sua diocesi né l’omelia della notte santa – pronunciata durante la Messa solenne nella chiesa di Santa Caterina, attigua alla basilica della Natività a Betlemme – contengono espressioni di congedo.

Michel Sabbah preferisce tenere fisso lo sguardo sul mistero dell’Incarnazione di Gesù figlio di Dio per trarne poi delle conseguenze per l’oggi della Terra Santa.

«Per Natale – ha scritto il patriarca nel suo messaggio – rinnoviamo la nostra fede in Colui nel quale abbiamo creduto, il Verbo di Dio fatto uomo, Gesù nato a Betlemme, Principe della pace e Salvatore dell’umanità. Egli si è fatto uomo per riportarci a Dio nostro creatore, per farci sapere che non siamo soli, che non siamo abbandonati a noi stessi di fronte alle molteplici sfide di questa Terra Santa. Dio è con noi: per questo la nostra speranza resta viva in noi, pur in mezzo alle molteplici difficoltà di ogni giorno, sotto l’occupazione, nell’ insicurezza e tra le privazioni che ne conseguono. Dio è con noi per ricordarci che il comandamento dell’amore, che ci fu donato da Gesù nato a Betlemme, resta valido ancor oggi , nei giorni nostri difficili: un amore vicendevole che è per tutti e per tutte. Un amore che consiste nel vedere il volto di Dio in ogni creatura umana, quale che sia la sua religione e nazionalità; un amore che è capace di perdonare e nello stesso tempo di chiedere il rispetto di tutti i nostri diritti, soprattutto di quelli dati da Dio alla persona e ad ogni comunità, quali il dono della vita, della dignità, della libertà e della terra».

In un accenno alla percorso culminato con la Conferenza di Annapolis del 27 novembre scorso il patriarca ha aggiunto: «Un nuovo sforzo di pace è stato intrapreso nelle ultime settimane. Perché riesca occorre che ci sia una decisa volontà di fare la pace. Finora non c’è stata pace semplicemente per la mancanza di volontà a farla: "Parlano di pace mentre non ce n’è affatto" (Ger 6,14) Chi è forte, chi ha tutto nelle mani, chi impone l’occupazione all’altra parte, ha l’obbligo di vedere quel che è giusto per tutti e di avere il coraggio di compierlo. "Dio, da’ al re il tuo giudizio", concedi la tua giustizia ai nostri uomini di governo perché governino il tuo popolo con rettitudine. (cfr Sal 71)».

Nell’omelia ha ripreso gli stessi concetti aggiungendo qualche nuova considerazione. Ha detto tra l’altro: «È necessario comprendere la vocazione universale di questa terra. Occorre vedere la volontà di Dio su questa terra, e così pure nelle Scritture e nell’evoluzione della storia di cui lo stesso Dio è Signore; Egli ci ha riuniti tutti qui nel corso dei secoli, ebrei, cristiani, musulmani e drusi, formanti oggi due popoli, il palestinese e l’israeliano. Comprendere e accettare la vocazione universale di questa terra, significa accogliere il piano di Dio per essa e significa divenire capaci di stabilire in essa la pace. Nessun esclusivismo che scarti l’altro o lo riduca in uno stato di occupazione o di una qualsiasi sottomissione può conciliarsi con la vocazione di questa terra. Terra di Dio, non può essere per gli uni terra di vita e per gli altri terra di morte, di esclusione, di occupazione o di prigioni politiche. Tutti coloro che Dio, il Signore della storia, ha qui riunito devono trovare in questa terra vita, dignità e sicurezza. Ognuno sa come si fa la pace, Ognuno sa quel che è dovuto a ciascuno dei due popoli che abitano in questo paese. Non è certo il più debole che deve sottomettersi e continuare a essere spogliato, sono invece i più forti, coloro che hanno tutto nelle mani, che dovranno staccarsi e dare al più debole quel che gli è dovuto. Tutte le questioni difficili, con la ferma volontà di tutti di far la pace, possono allora trovare soluzione».

Anche prima che l’argomento balzasse sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale, mons. Sabbah pronunciava parole chiare contro ogni estremismo. Anche nell’omelia natalizia il tema è riecheggiato: «La storia umana è piena di guerre, ma è pure piena di Dio. E Dio è amore. Non è la tirannia di certi credenti, che si dicono credenti mentre non si conformano alla volontà di Dio bensì alla propria, siano musulmani, ebrei o cristiani. La violenza non può discendere da alcuna religione. L’estremismo, in tutte le religioni, è volontà di appropriarsi, di escludere e di sottomettere gli altri , non nutre fede in Dio ma in comportamenti umani e ostili agli altri. I capi religiosi hanno un ruolo educativo per i credenti, per confermarli sulle vie della giustizia, del diritto, della pazienza di Dio, del perdono con la rivendicazione dei diritti e della collaborazione con tutti gli uomini e donne di buona volontà».

Infine una parola chiara per i laici cristiani e le famiglie di Terra Santa che nonostante l’opera di assistenza messa in atto dalle istituzioni ecclesiastiche cattoliche – come il patriarcato e la Custodia – e la solidarietà delle Chiese di tutto il mondo continuano a desiderare di emigrare alla ricerca di condizioni di vita migliori. Ripete il patriarca: «A voi, fratelli e sorelle, a voi tutti cristiani di questa terra tentati dall’idea di emigrare, oggetto della preoccupazione di tutti, dico subito ciò che Gesù ci dice: Non abbiate paura. Il cristiano non ha il diritto di avere paura né di svignarsela nelle difficoltà. Il che significa che occorre condividere le preoccupazioni di tutti, costruire la pace con tutti accettandone i sacrifici, la prigione, forse il rischio della vita, le difficoltà quotidiane per l’occupazione, il muro che separa, la mancanza di libertà negli spostamenti: tutto ciò è la sorte di tutti. E tutti insieme, con i nostri sacrifici e la nostra generosità, costruiamo la pace per tutti.

A coloro che sono tentati o spinti dalle difficoltà a lasciare il paese diciamo: qui avete un posto, anzi più che un posto avete una vocazione, di essere cristiani qui, nella terra di Gesù e non altrove nel mondo. Accettate dunque questa vocazione vostra , per quanto difficile sia. La nostra presenza qui è testimonianza della vocazione universale di questa terra, terra di Dio e terra per le tre religioni e i due popoli che la abitano. Ascoltate la voce della vostra vocazione e la voce di tutti coloro che vi reclamano qui presenti».

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