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La «Via dolorosa» di una grande poetessa

25/07/2007  |  Milano
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La «Via dolorosa» di una grande poetessa
La poetessa milanese Alda Merini.

La milanese Alda Merini è poetessa di prima grandezza. Centrale nella sua ricerca poetica, i temi del sacro, del mistero, del dolore (è stata più volte internata in manicomio). Nella sua attività creativa la Merini ha composto, nel 1979, quello che è considerato uno dei suoi capolavori: La Terra Santa. Continuamente provocata dal confronto con Cristo, dalla penna della Merini nascono opere di grande afflato religioso: Corpo d'amore, un incontro con Gesù (2001), Magnificat, un incontro con Maria (2002) e Poema della croce (2004). Sul numero di Terrasanta di luglio-agosto, Roberto Beretta intervista la poetessa. Eccovi un ampio stralcio della conversazione.


Alda Merini, milanese, classe 1931, è poetessa di prima grandezza. Centrale nella sua ricerca poetica, i temi del sacro, del mistero, del dolore (è stata più volte internata in manicomio). Nella sua attività di poetessa c’è anche un lungo silenzio, che inizia intorno agli anni Sessanta e si interrompe nel 1979, quando la Merini torna a scrivere dedicandosi a quello che è considerato uno dei suoi capolavori: La Terra Santa. Continuamente provocata dal confronto con Cristo, dalla penna della Merini nascono opere di grande afflato religioso: Corpo d’amore, un incontro con Gesù (2001), Magnificat, un incontro con Maria (2002) e Poema della croce (2004). Prestigiosi i premi letterari che le sono stati attributi: nel 1993 il Premio Librex-Guggenheim «Eugenio Montale», nel 1996 il Premio Viareggio, nel 1997 il Premio Procida-Elsa Morante, nel 1999 il Premio della Presidenza del Consiglio dei ministri (Settore Poesia). Alda Merini vive ancora nella sua Milano, in una casa sui Navigli.

Sul numero di Terrasanta di luglio-agosto, Roberto Beretta ha intervistato la poetessa. Ecco un ampio stralcio della conversazione.

* * *

Quanto c’è tra i Navigli e Gerusalemme? Alda Merini non sa. Per lei non sembra esistere soluzione di continuità tra il lento specchio d’acqua che scorre davanti a casa sua, trattenuto da antichi mattoni nella fretta milanese, e le prospettive della città santa che spalanca dorata le sue cupole alle tre grandi religioni. Anche il Naviglio è una via dolorosa, a suo modo; o almeno ha segnato la sua personale via crucis di poetessa estraniata dalla malattia e ossessionata dal confronto con Cristo.

Fu nel 1984, appena uscita da un ventennio di silenzio artistico e da vari anni di internamento in manicomio, che la Merini pubblicò La Terra Santa, per molti il suo capolavoro:

«Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio…».

E tuttavia non è mai stata in Terra Santa, Alda Merini, nei 76 anni della sua feconda, travagliata esistenza: «Si tratta di una metafora biblica – subito la voce un po’ stanca ma viva rincorre l’interlocutore -, che mi venne spontanea nella società degli emarginati com’è quella del manicomio, dei colpevoli, dei mai visti, dei non figli di Dio; è l’apoteosi della Grazia. La Terra Santa io l’ho scritta in 8 giorni, mentre mio marito stava morendo di cancro».

Ma lei ci andrebbe sul serio, a Gerusalemme?
Sì. Ma io godo purtroppo di una forte immaginazione – una fantasia così viva che mi ricrea proprio il luogo dove stare – e ci sono già stata tante volte. È un vizio di famiglia: mio papà era così e mi citava sempre Verne per fare il paragone; non per nulla il nonno l’aveva chiamato Nemo…

Dunque su quale base lei ha descritto i Luoghi Santi?
Sono sempre stata una donna molto mistica, sa? Ho avuto una vicenda come quella di santa Teresina del Bambin Gesù. Già molto giovane volevo entrare in convento e farmi monaca, e i miei quasi mi bastonavano perché ero sempre in chiesa. Mio papà era anticlericale, anche anarchico, però era un grande educatore e alla fine mi ha sempre lasciato libera. Ho fatto persino un anno di noviziato a Vercelli, dove eravamo sfollati durante la guerra. Poi mi sono sposata, quasi controvoglia; ma ho amato molto mio marito e la mia famiglia.

Torniamo a Gerusalemme: lei come immagina i Luoghi Santi?
Belli, ricchi di pietre. Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre. E i luoghi santi sono luoghi di poesia, luoghi di preghiera e di ascolto. Ma sono anche quelli dove si posa l’orecchio per terra e si sentono arrivare i cavalli, il nemico o forse i liberatori.

È un’altra citazione della «Terra Santa»:

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.

Sì, perché io in manicomio sono riuscita a crearmi un luogo di culto, un luogo di solitudine felice dove abitavo circondata da altri infelici. Lì c’era l’amore; ed  è questo che manca sulla terra, non crede?

In uno dei suoi libri più recenti (e amati dal suo pubblico), il Poema della croce, si incontrano solo Nazareth e Gerusalemme, ovvero l’infanzia di Gesù e la sua Passione. Come mai?
Posso rispondere con una battuta? Perché avevamo poche pagine a disposizione… I libri del mio editore sono ridotti e non si poteva dir tutto. Ma poi non è vero: a me interessava la figura in toto, il luogo conta meno. È importante l’uomo, il nome Gesù.

In quel testo lei descrive alternativamente il Calvario come un «diamante» oppure come il «teatro magnifico della derisione». Qual è la verità?
Il Golgota è il luogo del Cranio, il centro del mondo. Ma è anche il carnevale della Croce. Perché, mentre portavano a morire atrocemente i poveri condannati, i carnefici si divertivano. Ecco quello che non distingue l’uomo dalla bestia: la tortura, l’essere carnefice dell’altro. E gli uomini sanno farlo con sapienza. Cristo viene issato, viene preso in giro. Però tutto questo l’aveva già previsto. Anche la Madonna. Ma l’amore accetta tutto.

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