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Il re di Giordania: «Ora o forse mai più»

20/01/2007  |  Milano
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Il re di Giordania: «Ora o forse mai più»
Re Abdallah II di Giordania.

In un'intervista rilasciata al quotidiano israeliano Haaretz, re Abdallah II di Giordania riflette sui nuovi assetti geopolitici in Medio Oriente. Il monarca parla del ruolo dell'Iran, dei nuovi equilibri nucleari nella regione e del conflitto israelo-palestinese che, per lui, resta la questione cruciale. Abdallah lo ripete da tempo: il Medio Oriente è a un punto di svolta decisivo, abbiamo davanti «un'occasione d'oro, ma forse anche l'ultima possibilità».


In un’intervista esclusiva pubblicata ieri dal quotidiano israeliano Haaretz, re Abdallah II di Giordania parla dei nuovi assetti geopolitici in Medio Oriente. Dal colloquio del sovrano hascemita con il giornalista Akiva Eldar emergono riflessioni e notizie di un certo interesse.

Il monarca è convinto che il conflitto israelo-palestinese sia giunto a un punto di svolta decisivo: «un’occasione d’oro, ma forse anche l’ultima possibilità».

«Anche l’estate scorsa abbiamo avuto una guerra – dice Abdallah II – e la frequenza dei conflitti in questa regione è decisamente allarmante. La percezione tra gli arabi, e in parte anche tra gli israeliani, è che Israele abbia perso il round estivo… Ciò determina un precedente difficilissimo e molto pericoloso agli occhi di chi sta su posizioni radicali nell’area. La posta in gioco si fa sempre più alta. E allora è giunto il tempo di guardarsi in faccia e fare qualcosa perché quanto è accaduto l’estate scorsa non si ripeta. Se non diamo uno scossone al processo di pace è solo questione di tempo e scoppierà un’altra guerra tra Israele e qualcun altro contendente nella regione. E temo che potrebbe accadere prima di quanto non si creda».

Il giornalista israeliano conduce il suo interlocutore a parlare di Iran e minaccia nucleare e il re non si sottrae: «Tramite Hamas (il movimento islamista al governo nei Territori palestinesi – ndr), l’Iran è riuscito a guadagnarsi un posto al tavolo in cui si discute la questione palestinese. Così, per quanto strano possa suonare, grazie ad Hamas gioca ormai un ruolo chiave. Se noi cominciamo a rimettere in marcia il processo verranno meno le ragioni del coinvolgimento. Ma le regole in materia di nucleare sono cambiate in tutta la regione. Prima la Giordania diceva "vogliamo che tutta l’area sia un territorio senza energia nucleare", ma dopo la scorsa estate tutti stanno perseguendo programmi nucleari. Lo fanno gli egiziani. Anche il Consiglio di cooperazione del Golfo vuole il suo programma e noi stessi vogliamo poter ricorrere all’energia atomica per scopi pacifici e ad uso civile. Ne abbiamo parlato con l’Occidente. Personalmente sono convinto che ogni Paese che ha un programma nucleare debba conformarsi alle norme internazionali e sottoporsi ai controlli degli organi internazionali che regolamentano la materia per essere certi che i programmi nucleari vadano nella giusta direzione».

Quali priorità si impongono nel processo di pace? Concentrarsi anzitutto sulla soluzione dei problemi dei palestinesi o misurarsi con l’asse Siria-Libano? Re Abdallah non ha dubbi: «La Siria suscita grande interesse nell’opinione pubblica israeliana, ma io credo che la priorità, se si vogliono ottenere quelle garanzie che Israele vuole per uno stabile futuro, rimanga la questione centrale. Dobbiamo rilanciare il processo (di pace) palestinese per poter sperare che le cose vadano meglio con gli altri contendenti. (…) Quel che è accaduto la scorsa estate è solo l’assaggio di cose ben peggiori che potrebbero accadere se non cambiamo direzione in questa discordia. Siamo tutti sulla stessa barca. La sicurezza e il futuro della Giordania vanno mano nella mano con il futuro dei palestinesi e degli israeliani. Così, un fallimento per noi è anche un fallimento per voi e viceversa».

Il re giordano è tra i più attivi sostenitori della necessità di rilanciare ora, senza indugi e condizioni, una nuova fase di negoziati tra israeliani e palestinesi, con il concorso degli Stati Uniti e della comunità internazionale.

Ne fa quasi una battaglia personale: «Perché sosteniamo la soluzione dei due Stati (Israele e Palestina – ndr)? Perché comprendiamo che il futuro di Israele non è semplicemente avere frontiere in comune con Giordania, Siria o Egitto. Il futuro di Israele, se devo provare a mettermi nei vostri panni, sta nell’essere ben accolto dal Marocco sull’Atlantico fino all’Oman sull’Oceano Indiano. Credo che questo sia il riconoscimento che spetta agli israeliani, ma il prezzo da pagare è il futuro dei palestinesi. Stiamo parlando in termini politici, ma credo che abbiamo anche un problema di ordine fisico e il tempo sta scadendo. Forse il Muro, o magari gli insediamenti (israeliani nei Territori palestinesi – ndr), oppure l’assenza di speranza per i palestinesi ci condurranno a un punto, nel prossimo futuro, in cui la soluzione dei due Stati non sarà più qualcosa di concreto di cui discutere. A quel punto cosa succederà? Se non risolveremo la questione israelo-palestinese non potremo mai risolvere quella arabo-israeliana. È questo quello che vogliamo lasciare ai nostri figli? Vogliamo che crescano come siamo cresciuti noi… in guerra, o vogliamo dar loro una speranza?».

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