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Enzo Bianchi: quei cento giorni nella città santa

31/08/2006  |  Milano
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In una lunga intervista rilasciata al bimestrale Terrasanta, il priore di Bose racconta dei tre mesi passati a studiare e a pregare nella città santa, e delle ripetute veglie notturne presso il Santo Sepolcro: «Un'esperienza spirituale che ha lasciato un segno in ogni mia fibra». Vi riproponiamo i passi salienti dell'intervista.


Il priore della Comunità di Bose è un personaggio noto nel panorama ecclesiale italiano, fondatore di una comunità monastica che nel corso dei decenni è diventata anche un importante punto di riferimento ecumenico.

Un aspetto inedito della vicenda umana e cristiana di fratel Bianchi è il rapporto con Gerusalemme, dove esiste dagli anni Settanta una piccola fraternità di monaci… In una lunga intervista pubblicata nel numero di luglio-agosto 2006 del bimestrale Terrasanta, il priore racconta dei tre mesi passati a studiare e a pregare nella città santa, e delle ripetute veglie notturne presso il Santo Sepolcro: «Un’esperienza spirituale che ha lasciato un segno in ogni mia fibra».
Ecco i passi salienti dell’intervista.

Fratel Enzo, come si innesta Gerusalemme nell’esperienza di Bose?
Il rapporto con la Terra Santa me lo porto da sempre nelle fibre. È impossibile, per chi faccia un itinerario di ricerca e di studio biblico, non sentire quella terra come qualcosa che fa parte della propria fede e della propria spiritualità. Nel 1975 ho mandato, per questa ragione, un fratello a studiare in Terra Santa presso l’università ebraica ancora prima di essere stato io in Israele. Mi sono recato laggiù quando ho avuto la consapevolezza di avere un’adeguata spiritualità per capire cosa andavo a vivere. Sono stato a Gerusalemme cento giorni, a partire dal novembre 1977. Ho vissuto dai padri passionisti a Betania: tre mesi intensi nei quali ho cercato di entrare con tutto me stesso all’interno di quel rapporto con la terra e soprattutto con Gerusalemme che ho sempre sentito come vitale ed essenziale.

La Terra Santa non è solo Gerusalemme…
Certo, ma la città santa è speciale. Ho fatto il pellegrinaggio in Galilea, ho sostato in preghiera a Mamre. Ma il rapporto più intenso e profondo è stato con il Sepolcro. In quei cento giorni a Gerusalemme non c’è stato giorno in cui non sia andato al Sepolcro a pregare. Ogni sabato sera, insieme al mio confratello, mi facevo chiudere nella basilica a vegliare tutta la notte in attesa del mattino. Questa esperienza per me ha rappresentato una specie di sacramentalità del morire con Cristo per risorgere con Lui. Un rapporto quasi carnale, nel senso che il mio corpo viveva una situazione di preghiera e di ascolto che non mi è stato più possibile ripetere. E poi, nel buio di quel luogo, l’esperienza palpabile di una Chiesa presente, che veglia e che segue il Cristo nella sua morte per poi partecipare alla Resurrezione. A Gerusalemme sono tornato molte altre volte, per soggiorni più brevi, ma per me la Terra Santa è legata sopra ogni cosa a quella forte esperienza spirituale.

Come nasce la decisione di fondare una piccola fraternità a Gerusalemme?
La Comunità di Bose ha sempre avuto uno sguardo alle diverse confessioni cristiane. Non abbiamo mai potuto concepirci senza le Chiese sorelle. Alcuni di noi sono cattolici, ma i cattolici non si sentono tali senza le altre confessioni cristiane. La stessa cosa vale per i protestanti. Questo atteggiamento ha fatto sì che noi percepissimo da sempre Gerusalemme, crocevia di genti e di confessioni cristiane, come il luogo eccellente e straordinario per una nostra presenza. Siamo andati a Gerusalemme non tanto per portare qualcosa, ma per imparare qualcosa. Laggiù sono le nostre fonti, le nostre sorgenti, come dice il Salmo 87.

La città santa, dunque, come luogo privilegiato di dialogo e testimonianza…
Certamente. Siamo convinti che là si giochino i destini dell’ecumenismo in una maniera straordinaria, che là si determina il dialogo con l’islam e con l’ebraismo. Insomma davvero là c’è Dio che ci unisce tutti nella sua città santa, tutti quanti. Non siamo a Gerusalemme per avere una vetrina. Vogliamo essere testimoni che è possibile la riconciliazione tra ebraismo, islam e cristianesimo. E che è possibile l’unità e la comunione tra le varie Chiese cristiane. A partire da Gerusalemme vorremmo insomma riuscire a vivere una grammatica veramente ecumenica. Tutta la Comunità di Bose è grata ai fratelli di Gerusalemme, che hanno vissuto anni non facili in mezzo alle difficoltà di quella terra, per la loro testimonianza evangelica.

I temi della pace e della giustizia sono indissolubilmente legati alla Terra Santa di oggi.
La pace definitiva non ci sarà fintanto che non regnerà Cristo: questo vale in Terra Santa come nel resto del mondo. Questa verità non ci deve però impedire di promuovere cammini di pace anche insieme a quelli che non riconoscono Cristo. Certo noi cristiani dovremmo cogliere che a Gerusalemme, centro dell’umanità, c’è la vocazione a rendere epifanico ciò che è all’interno di tutto il mondo: il male, la guerra, le contraddizioni, l’ingiustizia, l’emergenza dei bisognosi e degli ultimi. A Gerusalemme questo male viene rivelato, ostentato… Questo aspetto epifanico dovrebbe interrogare noi cristiani che siamo là, ma dovrebbe interrogare anche gli ebrei perché il messaggio profetico chiede di preparare tempi di pace. Quando poi questo avverrà, sta nel mistero di Dio. Sono convinto che il nostro compito di cristiani, oggi, sia quello di cominciare, proprio da Gerusalemme, a promuovere un itinerario di pace e di giustizia. Questo è quello che il Signore chiede a tutti gli uomini.

(Se vuoi, puoi anche sentire la viva voce del priore di Bose che risponde brevemente a un altro paio di domande. Per ascoltare il file MP3 clicca su Versione audio nel box in alto a destra)

 

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