(g.s.) – Diffamatorio. Il ministero israeliano della Cultura e dello Sport considera così il film The Sea («Il mare» o הים – HaYam – in ebraico), al quale l’Accademia israeliana del cinema e della televisione ha attribuito il 16 settembre scorso il premio Ophir (una sorta di David di Donatello israeliano) come miglior film. Il riconoscimento implica che l’opera concorra alla selezione dei migliori film stranieri che si contenderanno, a Hollywood, i Premi Oscar 2026.
La “colpa” di questo lavoro cinematografico è di «presentare la prospettiva palestinese e dipingere negativamente Israele e le sue forze armate». La sua premiazione, sempre secondo il ministero della Cultura guidato da Miki Zohar (del partito Likud), è oltraggiosa. Per questo, reagendo a caldo, il governo ha annunciato la revoca dei finanziamenti statali agli organizzatori dei Premi Ophir. Il ministro, riferisce il quotidiano Haaretz, ha aggiunto un commento personale: «Non c’è insulto più grande per i cittadini israeliani dell’annuale assegnazione dei premi Ophir, imbarazzanti e disconnessi dalla realtà. Il fatto che il film vincitore ritragga i nostri eroici soldati in modo diffamatorio e falso, mentre rischiano la vita per proteggerci, non sorprende più nessuno».
The Sea ha per protagonista Khaled, interpretato dal 13enne Muhammad Gazawi, al quale è andato il premio Ophir per il miglior attore. Respinto a un posto di blocco israeliano durante una gita scolastica diretta al mare, Khaled fugge dalla sua casa in un villaggio non lontano da Ramallah, in Cisgiordania, e attraversa illegalmente Israele per soddisfare un desiderio a lungo coltivato: raggiungere le spiagge di Tel Aviv e vedere per la prima volta il Mediterraneo.
Assaf Amir, il presidente dell’Accademia del cinema e della televisione, respinge le accuse e spiega che la scelta dell’opera da premiare è effettuata da una giuria di professionisti del settore sulla scorta di considerazioni tecniche. Sullo sfondo brucia ancora – lo si intuisce chiaramente – un recente appello a boicottare il mondo del cinema israeliano sottoscritto da migliaia di cineasti, registi e attori di varie parti del mondo, che reagiscono così agli orrori nella Striscia di Gaza.
L’intento del regista Shai Carmeli-Pollak, e della co-produzione israelo-palestinese Majdal Films, è di raccontare, attraverso un episodio emblematico, la realtà quotidiana dei ragazzi palestinesi sotto il controllo dell’occupazione militare israeliana. Che è fatta di pagine anche più cupe di quella raccontata nel film.

























