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Ecumenismo, una sfida e un’avventura

fra Alberto Joan Pari ofm
13 dicembre 2013
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Ecumenismo, una sfida e un’avventura
Un momento di preghiera ecumenica a Gerusalemme nel gennaio 2013. (foto Cts)

Una delle esperienze che si fanno vivendo in Terra Santa è legata ala pluralità dei riti e delle confessioni cristiane...


Vivere in Terra Santa è un’esperienza unica e chi ha potuto visitarla anche solo per un breve tempo, magari con un pellegrinaggio, può capire meglio a cosa mi riferisco. Vorrei in modo particolare, questa volta, condividere con voi cosa significa «ecumenismo» in questo Paese. Quando ero in Italia, soprattutto da adolescente e giovane, mai mi sono posto nemmeno il problema di chi fossero gli altri cristiani… A scuola avevo sentito parlare dell’esistenza di Chiese non cattoliche, ma mai mi ero veramente interessato di cosa significasse, anche perché nel piccolo paese dove sono cresciuto nessuno aveva un’identità cristiana diversa da quella cattolica. Magari c’era chi si definiva non praticante o ateo… Ogni anno però, lo ricordo bene, a fine gennaio la Chiesa ci invitava e ci invita ancora, ad organizzare una settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e così tutti eravamo un po’ coinvolti a pensare che non esistessero solo i cattolici, ma che altri fedeli, lontani nel mondo e di certo lontanissimi dal nostro paesino, credessero in Gesù, ma a modo loro, senza un Papa e con liturgie diverse dalle nostre, alcuni che non pregavano Maria e altre cose simili. La mia conoscenza delle altre Chiese era davvero poverissima: ammetto la mia ignoranza. Arrivando in Terra Santa, uno degli choc culturali più importanti, positivamente parlando, l’ho avuto conoscendo pian piano le diverse Chiese, che qui sono tutte rappresentate, magari da comunità piccolissime, ma ci sono tutte! Il mio linguaggio ha dovuto arricchirsi, perché qui, anche solo nominare con il termine errato una comunità significa creare disagi diplomatici e incrinare rapporti delicatissimi.

Ho imparato che i cristiani possono essere, cattolici e ortodossi, ma che i cattolici come li intendiamo noi qui sono definiti dall’aggettivo «latini» o «romani» per chiarire di chi si parli. Infatti anche gli ortodossi chiamano se stessi cattolici, perché anche loro sono universali, che è il vero significato del termine «cattolico». Gli ortodossi devono essere meglio identificati con il Paese di provenienza, che ne definisce il rito e le tradizioni liturgiche, quindi abbiamo i greci ortodossi, gli armeni ortodossi, i copti ortodossi (dell’Egitto), i siriani ortodossi; ma con gli anni e gli incontri, per le strade di Gerusalemme, alle grandi liturgie, alle feste importanti, ho capito che nella storia alcune di queste Chiese hanno riconosciuto il Papa di Roma come capo della loro Chiesa, così ci sono i greci cattolici (melchiti), gli armeni cattolici, i copti cattolici e i siriani cattolici; poi ci sono alcune chiese del Medio Oriente che hanno mantenuto una liturgia non latina e a volte tipicamente nazionale o etnica, come i maroniti, i cristiani del Libano e come loro molte altre Chiese sparse nel mondo. Un mondo vasto e vario è allo stesso tempo quello delle Chiese nate dalla Riforma protestante, i luterani, i calvinisti, gli anglicani e molte altre piccole comunità che in Terra Santa hanno luoghi di culto, alloggi per pellegrini, studentati e centri di studio.

Cosa significa ecumenismo in questo contesto culturale? Secondo la mia povera esperienza, penso che le parole che meglio si addicano a descriverlo siano sfida e avventura. Ogni anno anche noi a gennaio nella Città Santa preghiamo per l’unità, ed è un piccolo miracolo che si ripete: le tante Chiese sorelle si riuniscono in diversi luoghi di culto, uno differente per ogni sera, i fedeli delle diverse Confessioni vengono accolti da una comunità che propone una preghiera con canti propri e secondo il proprio stile liturgico. I rappresentanti ufficiali delle diverse Chiese presiedono insieme e al termine della liturgia benedicono i fedeli all’unisono. Sono momenti speciali e significativi, la Chiesa di Gerusalemme unita in preghiera per chiedere aiuto al Signore di essere capaci di camminare uniti, di rafforzare i legami, unire i cuori e gli intenti. Gli incontri ecumenici in questa terra sono fatti di cose semplici, come lo scambiarsi reciprocamente gli auguri per Natale e Pasqua, giornate intere in momenti diversi del mese di dicembre e gennaio, perché il Natale non cade il 25 dicembre per tutti i cristiani, a scambiarsi auguri, bere insieme un caffè e prendere un biscotto parlando delle tante benedizioni ricevute dalla solennità e dal periodo liturgico appena celebrato, e così a Pasqua, la festa delle feste. Ecumenismo fatto di piccoli particolari, un aiuto di una comunità ad un’altra in un momento difficile, partite di calcio insieme tra seminaristi di case diverse, saluti e sorrisi per le strade mentre ci si reca al Santo Sepolcro o si ritorna da una lunga liturgia. In fondo, secondo me, l’unità è misteriosa e invisibile, come un prato pieno di fiori diversi osservato dall’alto o da lontano…

Se potessimo osservarlo da sottoterra, vedremmo tante radici unite, intersecate le une alle altre, indistinguibili tra loro e tutte alimentate dallo stesso terreno, ma in superficie tanti fiori uno diverso dall’altro con colori unici, forme e profumi diversi; come lo sono le Chiese di Terra Santa.

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