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Compagni con cui condividere la fraternità e il saluto di pace da dare a chi si incontra: due doni inaspettati che Francesco riconosce giungere dal Signore Gesù.

Come saluto donare la pace

padre Giorgio Vigna ofm
28 aprile 2010
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Come saluto donare la pace
Antonio Colantonio, San Francesco consegna la Regola agli ordini francescani (dettaglio).

Una delle grandi svolte nella vita di Francesco d’Assisi è avvenuta nel momento in cui alcuni dei suoi amici gli chiedono di unirsi a lui per partecipare alla sua avventura di cristiano inedito. Frate Francesco non pensava infatti di fondare alcun ordine, ma semplicemente di vivere la libertà evangelica di chi poteva finalmente dire: «Padre nostro che sei nei cieli, non più padre mio Pietro di Bernardone» (Leggenda dei Tre Compagni 20 /FF 1419). Il novum della fraternità non è stato tale solo per Francesco e compagni, ma anche per la vita religiosa del tempo, quando questa era caratterizzata dall’impronta benedettina, legata ai confini del monastero più che agli spazi allargati della «strada». La nascita della fraternità non è compresa da Francesco come una casualità, bensì come qualcosa che proviene da un disegno di Dio. Perciò egli la ricorda ai frati del suo (e del nostro) tempo come un dono (e rivelazione) che dovrà essere vissuto «secondo la forma del santo Vangelo» (Testamento 14-15 /FF 116).

La rivelazione (dunque anche il dono) successiva riportata nel Testamento riguarda, curiosamente, il «saluto»: «Il Signore mi rivelò che dicessimo come saluto: Il Signore ti dia pace» (v. 23 /FF 121). Nel contenuto del saluto è riconoscibile lo sfondo neotestamentario del Vangelo di Luca 10,5: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa”», e di San Paolo: «Il Signore della pace vi dia pace» (2Ts 3,16). Vi è inoltre ripreso in modo molto sintetico l’intero capitolo XIV della Regola non bollata: «Quando i frati vanno per il mondo, non portino nulla per il viaggio, né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E rimanendo in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro. Non resistano al malvagio, ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. E se uno toglie loro il mantello, non impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano». Ora, la citazione evangelica fa parte di un lungo brano dedicato alla missione dei discepoli (Lc 10,1-12), per la quale i discepoli ricevono da Gesù alcune istruzioni sullo «stile» di comportamento da osservare, e sull’«operare». Lo stile indicato è caratteristico del viandante mite, frettoloso e povero di mezzi, mentre il «fare» dei discepoli è limitato al dare il saluto (10,5) e curare gli infermi (10,9). Non è molto diverso quanto Francesco fa scrivere nella Regola non bollata: nel più generico andare per il mondo (non necessariamente a scopo missionario), i frati sono tenuti infatti allo stesso stile della mitezza e della povertà e a salutare con parole simili a quelle suggerite da Gesù.

La forte vicinanza del testo della Regola con quello del Vangelo dice quanto, in modo esplicito o implicito, il tessuto mentale e spirituale di Francesco fosse marcato dalla Parola biblica. Dato il richiamo sintetico, nel Testamento, al saluto di pace, è bene ricordare che cosa significa nella Bibbia «salutare la pace». La pace va oltre l’assenza di guerra o di inimicizia tra persone e popoli per comprendere il benessere, la pienezza e l’appagamento, nei quali il singolo e la comunità si trovano oggettivamente a vivere. In alcuni testi profetici è annunciato il sogno della pace senza fine che verrà nel tempo del Messia (Is 9,5-6; Mi 5,4), abbracciando tutti i popoli (Is 66,12). Rileggendo i profeti, Paolo può affermare che Cristo è la nostra pace, colui che ha riconciliato i popoli per mezzo della croce (cfr. Ef 2,14-18). Quando il Signore risorto, il primo giorno dopo il sabato, appare ai suoi discepoli dice per due volte: «Pace voi» (Gv 20, 19.21); il suo dire, più che un pronunciamento o un affettuoso augurio, è una reale «consegna» dell’atteso dono messianico (cfr, 14,27)!

La portata biblica del saluto francescano, unitamente al suo forte impatto missionario per la società di quel travagliato tempo, è ben ripresa e descritta da san Bonaventura: «In ogni sua predica, all’inizio del discorso, salutava il popolo con l’augurio di pace, dicendo: « Il Signore vi dia pace!». Aveva imparato a dire questo saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò. Fu così che, mosso anch’egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto moltissimi, che prima, in discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza» (Leggenda maggiore III,2 /FF 1052).

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