Sorpresi e grati sul Tabor della vita
All’inizio dell’estate ho avuto molte visite dall’Italia: amici, parenti, semplici pellegrini… La loro presenza mi ha dato l’occasione di lasciare Jaffa per qualche giorno e visitare nostri santuari. Quello che preferisco è la basilica della Trasfigurazione sul Monte Tabor. La ricorrenza di questa gloriosa manifestazione del Signore è il 6 agosto.
Saliamo allora insieme sul monte Tabor per cercare di comprendere il mistero di ciò che accadde (Vangelo di Marco 9,2-10).
Gesù prende con sé tre dei discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, lasciando gli altri a valle… È interessante che non voglia manifestarsi a tutti allo stesso modo. Mentre si trovavano su «un alto monte» si trasfigurò davanti a loro e apparvero accanto a lui il profeta Elia e Mosè. Quando sono stato l’ultima volta al monte Tabor, con il mio gruppo (che contava anche alcuni compaesani e mio papà) c’erano anche due amici israeliani, cristiani, ma di origine ebraica. Ed è stato molto importante averli con noi per comprendere in modo più reale quel che i tre discepoli hanno potuto provare. Infatti per un ebreo religioso e devoto, dopo Dio (Adonai), non c’è nessuno più importante e grande di Mosè e subito dopo di lui Elia. Nominare Mosè ad un ebreo significa attirare immediatamente la sua attenzione: non si può dire nulla di negativo o di ambiguo a suo riguardo. È il personaggio biblico più amato e stimato e poterlo incontrare personalmente è uno dei desideri più grandi che alberga nei sogni di tutti gli ebrei fin da bambini.
Proviamo allora ad immaginare cosa possono aver provato nel loro cuore i tre discepoli al vedere, non solo il loro maestro che già avevano riconosciuto come Messia, l’inviato da Dio Onnipotente per salvare Israele, ma accanto a lui Mosè ed Elia! I miei amici si meravigliano che nel racconto evangelico non sia descritto uno svenimento, ma quello che devono aver provato è qualcosa di simile, un’emozione così forte da confondere e sconvolgere. Questo stato d’animo è ben rappresentato in alcune icone della tradizione ortodossa in cui si vedono i discepoli a terra, capovolti e rovesciati, in atteggiamento di sconvolgimento interiore e paura. Un’emozione così forte da far dire al nostro caro Pietro: «È bello per noi stare qui, facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Queste sono le parole che affiorano sulle sue labbra, tra le tante cose che avrebbe potuto dire o chiedere ai due grandi profeti da sempre amati e attesi e che ora ha di fronte a sé. La Trasfigurazione è quindi la manifestazione gloriosa di Cristo, un regalo che il Maestro ha voluto fare ai suoi più cari amici, che diventeranno poi il primo papa della Chiesa universale, il primo vescovo di Gerusalemme e l’evangelista più preciso e profondo della nostra Tradizione; un regalo pieno di emozioni, di stupore, di meraviglia e di conforto.
Se diamo uno sguardo al Vangelo di Marco, infatti, proprio appena prima della Trasfigurazione, Gesù descrive cosa significhi seguire lui, rinnegare se stessi, prendere la propria croce e perdere la propria vita per causa sua e del suo Vangelo. Con questi sentimenti e pensieri i tre salgono al Tabor, ma una volta saliti, in disparte, con Gesù, partecipano ad un evento grandioso, vedono e comprendono che Lui è più grande di Mosè, più di Elia, è il Cristo e non c’è altro da sperare, nulla di più soave della sua presenza, niente di più glorioso da contemplare.
La solennità del 6 agosto ci dà l’opportunità di ripensare e meditare su quanto abbiamo percepito della immensa grazia che abbiamo di poter far parte della meravigliosa avventura che è la fede in Cristo e il suo Vangelo, anche se non ne comprendiamo tutta la profondità e grandezza. Come i tre discepoli, anche noi saliamo con il cuore pieno di titubanze sul Tabor della vita e della fede, per lasciarci sorprendere e meravigliare e discendere rincuorati per continuare il misterioso ma affascinante pellegrinaggio terreno della vita cristiana.