Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia
Con la sua vicenda di missionario itinerante Paolo ci indica anche uno stile. Quello di chi accetta anche la precarietà e i fallimenti dell'esistenza.

Paolo viaggiatore per fede

suor Chiara Miriam
5 dicembre 2008
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Paolo viaggiatore per fede
Paolo Veneziano, San Paolo, tempera su tavola (dettaglio), sec. XIV, Museo nazionale di Belgrado.

Si può dire che, tutta l’esistenza di Paolo, prima che nei suoi famosi viaggi missionari, sta nella dimensione stessa del viaggio, dentro la sua biografia di giudeo di Tarso di Cilicia, ebreo della diaspora, cittadino romano, formato a Gerusalemme. Quando poi l’Apostolo delle genti comincia esplicitamente la sua avventura missionaria da Antiochia, in una ventina d’anni percorre effettivamente quindicimila chilometri. Il viaggiare di Paolo è davvero la cifra di una vita spesa per l’annuncio della Buona Notizia. Un viaggiare non certo facile e comodo, come descrive egli stesso ai Corinzi, spesso in pericolo sui fiumi, per i briganti, da parte dei connazionali, da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, nei deserti, sul mare, in pericolo tra falsi fratelli…

Gli Atti degli Apostoli ci presentano Paolo missionario, in viaggio sulle strade dell’impero, fondatore, visitatore di comunità, annunciatore del grande, unico orizzonte che dà senso a tutta la vita, all’andare, allo stare, al morire: il Cristo crocifisso e risorto. Inoltre, come risulta dalle sue lettere, Paolo è anche compagno di viaggio, modello per i giovani discepoli di Gesù, lui che osa invitare ad imitarlo, semplice, diretto e vero, poiché è egli stesso imitatore di Cristo. Paolo vive in viaggio la dimensione fondamentale dell’annuncio, andando non da solo, non auto-inviato, ma impegnato dentro un mandato e un’obbedienza allo Spirito e alla Chiesa, che lo rendono autentico e autorevole anche nelle sconfitte e nelle dispute dentro e fuori le sinagoghe, le comunità, le piazze.

L’imperativo che il Signore Gesù aveva rivolto ai suoi discepoli: «Andate… e fate miei discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) risuona in modo particolare nella vicenda di Paolo e diventa la definizione del suo essere «mandato», «chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio», «inviato», «prescelto per annunciare». Questo imperativo, sempre attuale, che abilita ogni discepolo ad essere un inviato, diventa il senso e il fine della chiamata di Paolo a realizzare la Parola di quel Gesù di Nazaret incontrato decisamente e definitivamente dentro l’orizzonte di un viaggio, quello verso Damasco.

Dentro la sua vicenda itinerante Paolo ci consegna una meta, ma anche uno stile, che è quello del navigatore (facendo anche naufragio, ma non nella fede) o quello dell’atleta, temperato in tutto, in corsa per il vangelo, verso Cristo Gesù… L’ascolto della Parola, l’obbedienza allo Spirito, tracciano per lui percorsi a volte da capire meglio, a volte da riguadagnare dopo clamorosi insuccessi, come ad Atene, a volte da intraprendere con audacia e amore come davanti all’invito di passare in Macedonia.

Con l’arrivo dell’Apostolo a Roma non si ha più notizia di altri viaggi. La Spagna, da lui sognata, rimane una meta per altri, mentre lungo la via Ostiense Paolo percorre l’ultimo tratto di strada prima di morire.

Paolo ha terminato la corsa, ma la Parola non è incatenata. Essa continua, a duemila anni di distanza, a viaggiare nello spazio e nel tempo, sulle nostre strade, sulle vie dell’etere e delle nuove tecnologie, è presente nelle nostre assemblee, si fa ancora compagna di cammino e pellegrina accanto a coloro che non smettono di fare della loro vita un viaggio, una ricerca di senso e di libertà, a coloro che si lasciano raggiungere dall’amore anche e proprio dentro il loro peccato, che si lasciano rimettere in piedi e mandare là dove altri cammini e altri cuori lo chiedono.

(L’autrice è claustrale nel monastero Santa Chiara a Milano)

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