Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia
A Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, si trova la chiesa del Pater, dove sono custodite, simbolo dell'universalità della fede, le traduzioni del Padre Nostro in oltre 150 lingue.

Pater in tutte le lingue del mondo

padre Rosario Pierri ofm
18 novembre 2008
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I visitatori in genere non se accorgono, presi come sono dalla curiosità di passare in rassegna i testi nelle varie lingue disposti sulle pareti, ma la versione del Padre Nostro che la maggior parte dei pellegrini può leggere nella propria lingua nei corridoi del chiostro e in altri ambienti antistanti l’omonima chiesa sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme, è quella dell’esattore delle tasse, l’apostolo ed evangelista Matteo, e non la versione del terzo evangelista, Luca. Eppure la tradizione del luogo è legata proprio a quest’ultimo.

La versione assunta nella liturgia e universalmente più conosciuta è quella di Matteo (6,9-13). Più lunga rispetto al testo di Luca, è stata inserita dal primo evangelista nella sezione conosciuta sotto il nome di Di­ scorso della Montagna, mentre è nel cammino di Gesù verso Gerusalemme che Luca ambienta l’episodio dell’insegnamento della preghiera, immediatemente dopo la visita di Gesù a Marta e Maria a Betfage. È proprio la posizione del villaggio delle due sorelle rispetto a Gerusalemme ad aver probabilmente ispirato la tradizione del luogo dell’insegnamento del Pater. In una fonte gnostica del terzo secolo, gli Atti di Giovanni, si fa riferimento a una grotta sul Monte degli Ulivi dove si ricorda l’insegnamento di Gesù, ma non si parla del Pater. Dopo il racconto della sosta presso l’abitazione delle sorelle di Lazzaro, nel Vangelo di Luca si legge: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed egli disse loro: Quando pregate dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione». Quel luogo, visto che Gesù era diretto a Gerusalemme, secondo una tradizione tardiva (Teodorico, 1172), doveva trovarsi tra Betfage e Gerusalemme. Da qui probabilmente l’ambientazione dell’insegnamento sul luogo dove una volta sorgeva la basilica dell’Eleona, una delle tre basiliche che Costantino fece costruire in Terra Santa nel quarto secolo, le altre due, è noto, sono quelle del Santo Sepolcro e della Natività di Be­ tlemme. Le tre basiliche, come ricorda Eusebio di Cesarea (260-340), furono costruite sulle tre grotte collegate a tre misteri della fede: la grotta della natività (Betlemme), la tomba scavata nella roccia (Risurrezione), la grotta del Monte degli Ulivi (Ascensione).

In un primo tempo le due memorie (insegnamento e Ascensione) coesistettero associate nello stesso luogo, ma in seguito, quando la memoria dell’Ascensione si trasferì in una sede autonoma poco distante, alla grotta del Monte degli Ulivi rimase legato esclusivamente il ricordo del discorso escatologico (Mt 24,1-26,2). Oggi i due luoghi sono separati da una strada e da abitazioni. È Egeria (pellegrina del quarto secolo) a riferire di questa memoria, quando racconta di avere ascoltato il passo del Vangelo di Matteo il giovedì della Settimana santa. Solo molto più tardi, come si è visto, alla memoria originaria si sostituì quella dell’insegnamento del Pater.

Nel 1920 il governo francese iniziò nel sito i lavori per la costruzione di una chiesa, che per varie ragioni non fu mai terminata. La chiesa fu innalzata sopra la grotta che ricorda l’insegnamento del Padre Nostro. Al di sotto dell’edificio sacro si trovano altre due grotte, una dove Gesù avrebbe rivelato ai sui discepoli dei «misteri», l’altra detta del «credo».

Della basilica bizantina sono ancora oggi visibili pochi frammenti della pavimentazione musiva, i probabili resti del fonte battesimale del battistero annesso alla chiesa, parti di mura dell’abside ricavata nella cripta della chiesa. La basilica bizantina aveva una lunghezza di trenta metri, era preceduta da un atrio, a cui si accedeva da un’entrata monumentale, preceduta a sua volta da un portico. Il magnifico edificio sacro fu distrutto nel 614 dai Persiani. Sullo stesso luogo i crociati, nel 1106, elevarono una piccola cappella che Saladino fece radere al suolo dopo la conquista di Gerusalemme (1187). Il luogo è proprietà del governo francese, ma fu la principessa de la Tour d’Auvergne, a cui si deve l’annesso monastero carmelitano, ad acquistarlo nel 1857.

La ragione dell’esposizione permanente dei Pater in più di 150 lingue affonda le sue radici in una tradizione risalente al periodo crociato. Un pellegrino, nel 1102, raccontava di aver sentito parlare di una tavola di marmo con inciso il Padre Nostro in lingua ebraica. Un altro, nel 1170, testimoniò di averne vista una in lingua greca sotto l’altare (evidentemente della cappella crociata); dagli scavi emerse una versione in latino.

La chiesa del Padre Nostro è una meta di pellegrinaggio oggi molto frequentata. Quei testi scritti in tante forme di scritture, che talvolta si scrivono da sinistra a destra talvolta all’inverso, sono la testimonianza che quell’unica preghiera si eleva in tutto il mondo in tante lingue pur rimanendo unica.

Qui in Terra Santa capita spesso di partecipare a funzioni religiose dove si alternano letture e preghiere in varie lingue. Si passa dal latino all’arabo, dall’italiano all’inglese, dallo spagnolo al francese, dal polacco al tedesco, dal russo all’ebraico. Questa prassi appare normale per chi vive in questa terra. Altrove un’esperienza del genere la si fa nei grandi raduni, come in occasione della Giornata della gioventù, o nei grandi santuari che accolgono pellegrini di tutto il mondo.

Se nel susseguirsi delle varie parti della liturgia di volta in volta alla lingua liturgica principale (latino o arabo) si alternano le varie lingue, accade che al momento del Pater ognuno preghi nella propria lingua. È come se le singole persone si ricavassero uno spazio più proprio. Si pensi a un pellegrino di un qualsiasi Paese, fino a quel momento avrà partecipato pregando in inglese, casomai servendosi dei sussidi messi a di­ sposizione, ma al momento del Pater no, ritorna alla propria lingua, non solo perché il Pater gli sgorga dal cuore come da una sorgente, ma anche perché quella preghiera gli fa rivivere in quegli istanti in modo più profondo la sua storia, l’appartenenza alla sua cultura di origine, in altri termini alla sua Chiesa. Quella preghiera che il Maestro insegnò ai suoi discepoli è sua e l’ha appresa nella sua lingua, da piccolo o da adulto non importa.

Prima o dopo il Pater i gesti dei fedeli sono per lo più identici, non è così quando affiorano le prime parole «Padre nostro». C’è chi alza il volto al cielo o solo gli occhi insieme alle mani, chi porta le mani giunte più vicino al petto, qualcuno allarga le braccia di più qualche altro di meno. In una parola ciascuno personalizza la preghiera. Forse in quei pochi istanti si rivela in maniera più tangibile l’universalità della Chiesa: si prega all’unisono in uno stesso luogo in diverse lingue, ognuno prega nella propria lingua e contemporaneamente ascolta parole che non conosce, ma sa che sono le sue stesse parole.

A un pellegrino attento, che percorre gli ambienti dove quell’unica preghiera si presenta allo sguardo sotto tante e varie forme di scrittura, non sfugge il messaggio di universalità che intende trasmettere. Nel caso abbia tempo, può fermarsi a guardarle una per una e, per quanto possa essere eclettico in fatto di lingue, quante ne leggerà? Potrà rimanere meravigliato ed entusiasmarsi nell’intimo di avere come la sensazione di sentirsi in comunione con uomini e donne di ogni angolo della Terra, e ciò è già qualcosa di meraviglioso. Ma se prova ad immaginare che, all’improvviso, davanti ad ogni riquadro che incornicia il Pater dovesse apparire un fedele che parla quella lingua, e ad un segnale tutti nel medesimo istante dovessero iniziare a pregare con «le parole che Gesù ci ha insegnato», ecco, in quell’istante quella percezione diventerà realtà, svelandogli come per rivelazione ciò che già vive, la comunione della Chiesa. La visita alla chiesa del Pater, la sua memoria, in realtà, ha essenzialmente questo significato.

Ma c’è un ulteriore aspetto. A suo modo il Pater è un atto rivelativo trinitario, e come lo fu allora lo è ancora oggi. La risposta di Gesù ai discepoli non si configura pertanto solo come l’insegnamento della preghiera per eccellenza, ma ci parla del rapporto del Figlio rispetto al Padre (sia fatta la tua volontà) e della partecipazione dei discepoli di tutti i tempi (di noi) alla figliolanza divina.

Un grande appassionato del Pater, Francesco d’Assisi, intuì pienamente questa realtà. Nella Lettera ai fedeli [201] scrive: «Oh come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre!».

Nel suo significato più profondo l’insegnamento del Pater rappresentò una tappa significativa per la fede cristiana già prima della risurrezione.

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