Per i musulmani le due maggiori città sante sono La Mecca, dove Maometto nacque e iniziò la sua predicazione, e Medina, dove emigrò con i suoi seguaci nel 622 d.C. Ai loro occhi anche Gerusalemme è di grande importanza, come rivela il suo stesso nome arabo al-Quds, ossia «la Santa». Benché il Corano non la nomini mai, la tradizione l’ha riconosciuta almeno in due passi del Testo sacro dell’islam.
Il primo risale a un momento difficile della vita del Profeta, quando la morte della prima, amatissima moglie e dello zio che l’aveva cresciuto, lo lasciarono senza sostegno proprio mentre i suoi concittadini si mostravano particolarmente ostili nei suoi confronti. Forse per compensare tali gravi lutti, ecco eventi misteriosi e miracolosi tra cui appunto quello legato a Gerusalemme, il cosiddetto «viaggio notturno» (isrâ’) e l’ «ascensione» (mi`râj) cui accenna l’incipit della sura XVII: «Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo (al-Masjid al-Haram) al Tempio Ultimo (al-Masjid al-Aqsâ)…».
Difficile dire se si debba intenderlo come un viaggio vero e proprio, o propendere per una lettura più spirituale dell’evento. Un altro momento della vita del Profeta e della prima comunità islamica legato alla stessa città sarebbe stato il mutamento della direzione della preghiera: non più verso Gerusalemme ma verso La Mecca. Quale fosse esattamente tale direzione in un primo tempo è difficile stabilirlo con certezza, ma la tradizione i slamica sostiene che le cose stessero proprio così e il cambiamento sarebbe intervenuto per distinguere il culto musulmano da quello ebraico. Quando dunque la conquistarono nel 638 d.C. i musulmani vi vollero riconoscere siti e funzioni adombrate nelle loro fonti, forse incoraggiati a farlo anche da qualche ebreo convertito all’islam che in tal modo sperava fosse ridato lustro e rispetto a quei luoghi per lui tanto cari.
La «sacralizzazione» di Gerusalemme da parte islamica si sviluppò in seguito ad opera della dinastia dei califfi Omayyadi di Damasco i quali incoraggiarono i fedeli a recarvisi in pellegrinaggio, poiché le città sante d’Arabia erano a quel tempo in balia dei ribelli: sorsero così le famose moschee dette Cupola della Roccia e di al-Aqsâ, dall’espressione coranica più sopra citata. Contesa in seguito tra islamici e bizantini, divenne poi campo di scontro tra la casata ismailita dei Fatimiti d’Egitto e i turchi Selgiuchidi, ma furono soprattutto le Crociate a farne il pomo della discordia tra Oriente ed Occidente.
Conquistata nel 1099 da Goffredo di Buglione, tornò ai musulmani nel 1187 ad opera dal famoso Saladino che in quell’occasione, nonostante la «ferocia» spesso abbinata al suo nome, diede prova di grande moderazione. Passata di mano ancora più volte, Gerusalemme tornò definitivamente sotto il dominio islamico nel 1281 con i Mamelucchi d’Egitto. Furono dunque vicende belliche ad accrescere la considerazione di questa città agli occhi di quanti se la contendevano.
Ci troviamo quindi di fronte a un’eredità complessa e articolata, cui si sono di recente sovrapposte le rivendicazioni delle parti coin volte direttamente nel conflitto arabo-israeliano, oltre ai timori di tutti coloro che, riconoscendo in Gerusalemme un punto chiave della propria tradizione religiosa, la sentono in vari modi minacciata.
Il tragico paradosso è che un luogo tanto ricco di storia e spiritualità, che suscita in tutti sentimenti di venerazione e il cui nome significa originariamente «città della pace» si trovi conteso e insanguinato in un conflitto che sembra non poter avere mai fine.