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Segni che generano segni

fra Matteo Brena ofm
28 febbraio 2024
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Segni che generano segni
San Francesco che riceve le Stimmate, san Giovanni Battista e santa Maria Egiziaca, (dettaglio), prima metà del XV secolo, santuario della Verna (Arezzo)

Le Stimmate ricevute da Francesco d’Assisi alla Verna ci aiutano a comprendere il significato autentico dei veri segni divini, che salvano e raccontano la potenza di Dio nella vita. Ciò che rende possibile tutto questo è la fede.


Il tema dei segni ricorre spesso nei Vangeli che raccontano la vita di Gesù. Per il credente è lui il segno che devono accogliere i pastori di Betlemme e che genera in loro la gioia. È lui che semina i segni del regno di Dio ed è lui che sulla croce diviene il segno dell’Amore. Nei Vangeli la parola «segno» è usata in rapporto alle azioni straordinarie di Gesù, anche con connotazione negativa. Ad esempio, nel Vangelo di Marco a Gesù viene richiesto di dare un segno per convincere i dubbiosi della sua identità ed egli li rimprovera per la richiesta. L’interesse nel vedere un segno come base per la fede viene condannata come un’espressione di sfiducia e di sospetto.

Anche nella nostra quotidianità chiediamo spesso dei segni sui quali basare la nostra fiducia, il nostro sguardo sul futuro o per poter ponderare delle scelte che hanno conseguenze sulla nostra vita. Questo sembra essere in contrasto con l’insegnamento di Gesù. Ma perché? San Francesco ci aiuta a capirlo. Come ben sappiamo, la vita di Francesco d’Assisi ha il suo vertice con l’esperienza delle Stimmate che consiste nell’assumere la somiglianza di Cristo maestro dell’amore. Nella Legenda Minor, san Bonaventura le descrive come la conseguenza di un «ardore serafico», sigilli impressi sul corpo. Questa definizione sicuramente ha influenzato Dante che chiama «crudo sasso intra Tevero e Arno» il luogo dove Francesco ricevette l’ultimo sigillo – definizione che viene dal canto XI del Paradiso, nel verso in cui identifica lo sperone roccioso del crinale del santuario della Verna come luogo ideale per immergersi in una natura selvatica che favorisce la meditazione.

Nel suo racconto, Bonaventura dice che appartiene a Dio rivelare, a propria gloria, i prodigi che egli compie e, perciò, Dio stesso, che aveva impresso quei segni nel segreto, li fece conoscere apertamente per mezzo dei miracoli, affinché la forza nascosta e meravigliosa di quelle Stimmate si rivelasse con evidenza nella chiarezza dei segni. Pur gelosamente nascosto, il segno delle Stimmate diviene la fonte che produce i veri segni che salvano e raccontano la potenza di Dio nella vita degli uomini.

Ciò che rende possibile tutto questo è la fede. Infatti, essa va oltre il visibile e apre il cuore dell’uomo a nuove e inedite possibilità. I segni della passione senza la fede rimangono segni che stupiscono o incuriosiscono, ma non salvano, e la salvezza è possibile e concreta solamente se lo sguardo dell’uomo sulla realtà è guidato dalla fiducia. Così nella nostra vita spesso vediamo naufragare relazioni importanti perché chiediamo continuamente segni o parole che non ci saziano. L’idea del segno genera sempre un rinvio a qualcosa di diverso, più autentico e significativo. Un’opera d’arte del XX secolo, la raffigurazione realistica di una pipa fatta da René Magritte, è in questo senso eloquente. Il pittore belga scrisse: «Ceci n’est pas une pipe» («Questa non è una pipa»). Quando osserviamo un oggetto rappresentato in un dipinto, scolpito in una statua o proiettato in un film, spesso pensiamo: «Ecco una mela!», oppure: «Questo paesaggio toglie il fiato!». Tuttavia, quello che stiamo osservando non è realmente una mela o un paesaggio. Stiamo contemplando dei materiali dipinti, delle forme scolpite, dei raggi di luce trasmessi da uno schermo. Davanti a noi non c’è né una mela da cogliere, né un paesaggio reale in cui camminare fisicamente. Tutto è una raffigurazione, una rappresentazione, un suggerimento, ma non una presenza oggettiva e tangibile.

Questo concetto si applica anche alla pipa di Magritte: fisicamente non esiste come tale. Ma il concetto di «segno», per noi credenti, acquista vera significatività solo quando è di origine divina. Quindi solo se proviene da una sorgente provvidenziale, celestiale, ha il potere di essere un autentico segno e di «meritare» la nostra custodia, la nostra riflessione. Altrimenti non può essere considerato un «segno» nel senso più profondo del termine, qualcosa che evoca Dio, che ci rimanda alla sua presenza e alla sua opera. I segni divini sono manifestazioni preziose. In certi casi, risultano estremamente utili, tuttavia, è importante comprendere che i segni non sono Gesù, non sono Dio, non sono le Persone che evocano o a cui rimandano, o meglio: non amiamo la lettera dell’amato solo perché è un segno dell’amato. È l’amato che amiamo, la lettera è solo un oggetto materiale, un pezzo di carta che può anche essere distrutto, ma l’amato rimane eterno.

Fra Matteo Brena è Commissario di Terra Santa per la Toscana e risiede a Firenze

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