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Cedere al suo amore liberamente

fra Francesco Ielpo *
30 aprile 2020
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Cedere al suo amore liberamente
Antonio Vivarini, Polittico della Passione, La lavanda dei piedi (1420-1485 ca.), Venezia, Collezione Franchetti

Per vivere la «comunione» in senso evangelico non possiamo fare affidamento sulle nostre forze o sulla nostra iniziativa. Dobbiamo «aver parte» con Gesù, in quanto Lui ci ama sino alla fine


All’inizio della Quaresima papa Francesco ha messo in guardia il clero circa il fatto che può esserci «“comunità”, ma meno comunione!». Infatti, può esserci la preghiera in comune, i pasti in comune, addirittura il luogo abitativo in comune e, paradossalmente, non esserci comunione. Spesso siamo tentati di pensare la comunione tra noi come un avere in comune valori, principi, una morale, una stessa visione della vita. Ma tutto questo non basta per generare «comunione» in senso evangelico.

La Chiesa degli inizi, nel cercare una parola che potesse in qualche modo definire la propria identità, utilizzava un termine preso in prestito dal linguaggio quotidiano: koinonìa (in latino communio). Il termine greco indicava letteralmente l’avere in comune il possesso di qualche cosa. Per esempio, alcuni pescatori, per motivi economici, potevano avere in comune, e perciò condividere, la barca per il loro lavoro. Quindi, potremmo dire, che la Chiesa da subito si concepisce come una comunità di persone che hanno in comune il possesso di Gesù Cristo morto e risorto. In realtà, se fosse così, la comunione dipenderebbe dalla capacità di ogni singolo uomo di possedere Gesù o la fede in Lui.

L’evangelista Giovanni racconta della «comunione» tra Gesù e i discepoli nell’ultima cena attraverso la lavanda dei piedi. In un contesto di tradimento, «quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» e in piena consapevolezza della sua identità e missione «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava», Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Giovanni 13,1-3). Un amore che arriva sino alla fine è un amore che si abbassa, si fa servo e lava i piedi. È il dono permanente e totale di tutto se stesso concentrato nell’umile gesto della lavanda dei piedi. Ma Pietro non capisce, si ribella e rifiuta il gesto: «Tu non mi laverai mai i piedi». Gesù ribatte: «Se non ti laverò non avrai parte con me» (Gv 13,8).

Non è facile entrare nella logica di un Dio che si china sull’uomo, che lo serve (invece di farsi servire) e, soprattutto, non è facile lasciarsi amare gratuitamente fino a quel punto. Tuttavia, Pietro desidera «avere parte» con Gesù e si arrende. «Avere parte con» descrive appieno il significato originale di koinonìa.

La comunione, dunque, non nasce da un mio sforzo o da una mia capacità quanto, piuttosto, dall’aver parte con Gesù in quanto Lui mi ama sino alla fine. Quello che abbiamo «in comune» non è il possesso di Gesù, ma il possesso «da parte di» Gesù. Per essere in comunione con Lui bisogna avere parte con Lui. È Lui che ci prende in comunione attraverso il gesto della lavanda dei piedi, ovvero attraverso l’Eucaristia.

La comunione con Gesù non ha origine da noi, ma solo ed esclusivamente dalla sua libera iniziativa nei nostri confronti, affinché possiamo avere parte con Lui. Noi non dobbiamo fare altro che cedere liberamente al suo amore e lasciarci servire, amare, abbracciare, prendere da Lui. E, contemporaneamente, fare come Egli ha fatto: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,14).

Dalla vita eucaristica, cioè dalla comunione con Cristo Gesù, dall’avere parte con Lui, nasce uno sguardo nuovo su noi e sugli altri. Uno sguardo grato sulla nostra vita perché amata e preferita dal Maestro. Uno sguardo di comunione sull’altro perché anche lui ha parte, come me, con Gesù. La comunione, quindi, non nasce semplicemente dalla condivisione di valori e ideali, ma dall’imitazione di Cristo, dall’abbassarsi e dal servire il fratello. Da un amore che arriva al paradosso di perdersi per ritrovarsi, di morire per vivere. Dall’aver parte con Gesù, cioè da una vita autenticamente eucaristica, nasce e si genera la comunità. Dal servizio vicendevole nasce e si genera la fraternità.

Durante il pellegrinaggio in Terra Santa si è accompagnati quotidianamente dall’Eucaristia, «fonte e culmine della vita cristiana», così come nel pellegrinaggio della vita si è continuamente sostenuti dal Pane eucaristico che accresce la nostra intima unione con Cristo e genera la comunione tra noi. Passo dopo passo, comunione dopo comunione, guarderò il fratello che cammina al mio fianco come uno che «ha parte» con Gesù, proprio come me; solo così edificheremo la comunità, vivremo la fraternità, testimonieremo la comunione tra noi e con Dio.

(* Commissario di Terra Santa per il Nord Italia)

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