Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Gli alberi? Hanno il loro Capodanno

Elena Lea Bartolini De Angeli
21 gennaio 2014
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Nei primi mesi di ogni anno solare, fra gennaio e febbraio, la tradizione ebraica celebra Rosh haShanah La’ilanot, il «Capodanno degli Alberi» che, durante i tempi biblici, stabiliva la data a partire dalla quale calcolare le primizie da presentare al Tempio. Secondo il calendario lunisolare ebraico questo giorno corrisponde al 15 del mese di shevat e, pur essendo considerato feriale – in quanto è consentito lavorare e non prevede aggiunte particolari nella liturgia quotidiana – mantiene un carattere «speciale»: i maestri hanno stabilito il divieto di tenervi commemorazioni funebri e di digiunare, inoltre sono vietate le preghiere di supplica e perdono già a partire dalla sera precedente.

Dopo la distruzione del Tempio nel 70 dell’era attuale, non potendo più celebrare l’offerta delle primizie la ricorrenza ha assunto un carattere ecologico diventando il giorno della «piantagione degli alberi» – sia in Terra di Israele che in diaspora – per abbellire il pianeta e per rinsaldare il legame dell’ebreo con la sua Terra, unitamente alla consuetudine di mangiare in questo giorno della frutta, specialmente la frutta di ’Eretz Jisra’el, durante una cena conviviale che, come quella di Pasqua, prevede la consumazione di quattro calici rituali di vino.

Tuttavia, mentre a Pasqua si tratta di quattro calici di vino rosso, in questo caso si inizia con una coppa di vino bianco seguita da una seconda nella quale si aggiunge un po’ di vino rosso, una terza di vino rosso con un po’ di bianco per terminare con una interamente di vino rosso. È una tradizione nata nell’ambito della qabbalah, la mistica ebraica, e si ispira alla natura della «Terra promessa» nella quale avviene un interessante fenomeno: a partire dal mese di agosto in molte regioni si possono vedere molti piccioli candidi di scilla, alla fine dell’estate il giglio della sabbia si diffonde sulle colline sabbiose della costa mediterranea, dopo le prime piogge di ottobre compare il fiore dello zafferano, da ottobre a gennaio fiorisce il narciso, all’inizio di febbraio compaiono gli anemoni multicolori seguiti da tulipani che tingono la terra di Israele di rosso, che diventa sempre vivo con la comparsa a marzo di ranuncoli dello stesso colore. Quando giunge la Pasqua la terra da bianca si è completamente mutata in un tappeto dalle sfumature rosse. E come i campi cambiano il loro rivestimento floreale da candido a scarlatto, così fanno molti alberi caduchi che mutano il colore delle foglie. In entrambi i casi il 15 di shevat segna il momento in cui ha inizio tale mutamento di colore che ha ispirato i qabbalisti di Tfat (Safed), la città della mistica che si trova in alta Galilea. In questo modo la consumazione dei frutti accompagnata dal vino cangiante e dalle benedizioni rituali, da una parte fa memoria di quanto avveniva al Tempio nell’orizzonte di un gesto che riconosce la sovranità di Dio sui doni del creato affidato agli uomini e, dall’altra, sottolinea l’importanza del rapporto con la terra dei padri costitutivo per la coscienza ebraica.

Piantare alberi, soprattutto in Israele, diventa così un segno «memoriale» che va oltre il «Capodanno degli Alberi»: è sempre molto viva infatti la consuetudine di riproporlo per sottolineare eventi lieti, ma anche per i ricordare i propri defunti, in quanto ogni albero è segno di vita. In tale prospettiva si colloca la foresta che, a breve, sarà piantata presso il lago di Tiberiade in memoria del cardinale Carlo Maria Martini.

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