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Contro l’oltranzismo degli intolleranti

padre Gwenolé Jeusset ofm
27 gennaio 2012
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La famiglia francescana di Francia ha un comitato interreligioso. È composto per metà da religiosi (frati e suore, con laici dell’Ordine secolare) e per metà da ebrei, musulmani, buddhisti e sikh. Tutti discepoli o ammiratori di san Francesco, hanno redatto un libriccino sulla fratellanza e, ultimamente, un altro testo su «Missione/Trasmissione». Forti dei loro legami spirituali, alcuni mesi fa sono riusciti a fare un ritiro tutti insieme al monastero cistercense dell’isola di Lérins, al largo di Cannes.

Per celebrare il venticinquesimo anniversario dell’incontro di Assisi, il comitato ha organizzato tre giorni di incontri (dall’11 al 13 novembre 2011, a Parigi – ndr). Invitato a parlare dell’approccio interreligioso nella famiglia francescana e ad animare la celebrazione della domenica sera, sono stato testimone della volontà di molti di prendere le distanze dalla tendenza al ripiegamento identitario e all’islamofobia che sta dilagando in Europa.

Tutto è cominciato con un colloquio, appassionante per i molti interventi, sul tema: «Lo spirito di Assisi oggi: esperienze, difficoltà e prospettive». Una giornata densa, in cui trecento persone motivate non hanno smesso di riflettere, di reagire di porre e di porsi delle domande.

Il secondo giorno, la serata dedicata ai giovani credenti è stata incentrata sulle testimonianze di un sufi musulmano, un lama tibetano, un monaco ortodosso. Anche a me è toccato sedere nel «gruppo di saggi» interrogato dall’assemblea.

La domenica pomeriggio, tra i quattro e i cinquecento credenti, ma anche alcuni agnostici e qualche ateo, si sono radunati per una marcia.  Destinazione: la piazza della chiesa di Saint-Denys de la Chapelle, nel popolare 18° arrondissement. È stato un momento molto forte e ricco di colori, dietro ai rappresentanti delle religioni che portavano tutti insieme un lungo striscione con la scritta: «Credenti per la pace». Diversi passanti incrociati lungo il cammino hanno chiesto spiegazioni, e se ne sono rallegrati. Arrivati sul sagrato della chiesa, un messaggio comune è stato letto dal ministro provinciale francescano.

Quasi tutti i partecipanti sono poi entrati in chiesa per la celebrazione. Stavo per introdurla, quando un piccolo gruppo di integralisti è intervenuto gridando all’abominio. Non essendo, a quanto sembra, il loro Cristo Re l’Uomo incoronato di spine, rispettoso della fede dei non ebrei, ma piuttosto il dittatore dei fondamentalisti di ogni religione, si sono messi a cantare Ave Maria a squarciagola. La folla, invitata a mettersi davanti a loro, ha gridato più forte il canto composto per questi tre giorni: «La forza dello spirito ci ha spinti ad incontrarci. Ed eccoci riuniti nel cuore del mondo come un fuoco, un fuoco che dona la vita», ma sono serviti quasi trenta minuti per convincere quegli energumeni ad andarsene.

È così iniziata la prima preghiera, quella dei «nostri fratelli maggiori». Ed ecco, sorpresa: il rabbino non ha recitato il Salmo previsto, ma dopo aver augurato lunga vita e salute a coloro che non ne volevano sapere di lui, ha cantato in ebraico il Padre Nostro! Dopo un’ora trascorsa tutti insieme, nel rispetto delle fedi reciproche, e un ultimo momento di comunione per coloro che desideravano assistere a un concerto interreligioso, tutti si sono separati, immagino, sotto lo sguardo sorridente di Dio.

Nella speranza anche di vedere, se non proprio su questa terra, per lo meno presso il Padre, gli estremisti di tutte le religioni scoprire la felicità di aprirsi agli altri, quando davanti a Cristo canteranno con noi: «Salaam, shalom».

(traduzione di R. Orlandi)

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