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Fratelli e sorelle per Grazia

suor Enrica Serena
27 gennaio 2009
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Fratelli e sorelle per Grazia
L'urna con i resti di san Porfirio sotto un quadro del santo nella chiesa ortodossa di Gaza City.

San Paolo nelle sue lettere ripete per cento volte il termine «Grazia». Un'insistenza non casuale, che rivela la sorgente di vita della sua esperienza religiosa: l'amore gratuito di Dio.


Qualcuno si è tolto la curiosità di contarle: cento. Cento volte nelle tue lettere ricorre il termine charis, grazia. L’uso così frequente del vocabolo non mi lascia indifferente e vorrei chiederti, Paolo: «Perché ritorni con tale insistenza a questa misteriosa realtà? Quanto e come l’hai conosciuta? Cosa ci vuoi comunicare?».

In verità, più che di un ritorno sullo stesso argomento, l’impressione che ricavo leggendo i tuoi scritti è che la grazia sia per te come un ambito vitale da cui la tua esperienza religiosa sgorga, entro cui trae alimento e a cui è tesa. Prendendo in prestito l’intuitiva espressione di Rudolf Bultmann (1884-1976), si potrebbe davvero parlare di «grazia come evento», un evento che comprende non solo l’irrompere di Cristo, la grazia del Signore nostro Gesù Cristo (2 Cor 8,9), ma anche l’opera plasmatrice della propria esistenza (…per grazia di Dio sono quello che sono…). Allora, il termine grazia non denota solo l’agire di Dio che ad un certo punto della tua storia ti portò a una vita di fede, ma anche la quotidiana esperienza di una potenza divina in te, questa grazia nella quale ci troviamo (Rm 5,2). Mi sembra che, a differenza del nostro modo un po’ passivo di pensare talvolta alla grazia, per te, Paolo, essa sia invece qualcosa di estremamente dinamico, un soffio che ci penetra intimamente, ci afferra, ci anima e vivifica, ci mette in movimento.

Non possiamo dimenticare, Paolo, le radici della tua fede nel Dio d’Israele, per cui hai imparato a conoscere Adonai, secondo la ripetuta confessione del tuo popolo, quale «Dio pieno di misericordia e di grazia, lento all’ira e di gran benignità e fedeltà» (Es 34,6; Nm 14,18; Neem 9,17; Sal 86,15; 103,8); è proprio su questo terreno che forse è cresciuta e si è fatta luminosa in te l’esperienza della grazia come il fondamento della relazione tra Dio e l’uomo e sei stato introdotto in quel desiderio divino per l’umanità che è, dal principio alla fine, un’iniziativa generosa di bene, di fedeltà costante. La grazia si è rivelata come il porsi gratuito di Dio nei confronti dell’uomo in un atteggiamento attivo di compiacenza, di gentilezza, di benevolenza, di perdono, di misericordia, un chinarsi amorevole, esploso e sigillato in modo definitivo nella morte e risurrezione di Cristo Gesù. Battezzato nella sua Pasqua, ogni uomo diviene partecipe della grazia di questa relazione con Dio, capace di lasciarsi amare e di amare oltre ogni umana misura.

Paolo, veramente ardono le tue parole nel desiderio che tutti i tuoi fratelli, di ogni terra e di ogni tempo, spalanchino i loro cuori a questo meraviglioso dono! Commuove sentire in ogni tua lettera il ripetuto e accorato augurio «la grazia sia con tutti voi».

Un altro aspetto mi ha colpito ripercorrendo i tuoi testi e soffermandomi intorno al tuo parlare della grazia: sovente, mentre ne discorri, affiorano sulle tue labbra i termini «abbondare», «straordinario, superiore», «ricchezza»; traspare netta l’impossibilità, per il destinatario di un così sovrabbondante dono, di poter in qualche modo ricambiare. L’offerta di grazia che tu annunci ha caratteristiche di assoluta gratuità e unilateralità; soltanto esorti chi in esso è stato coin­ volto a una vita piena di gratitudine. L’unica riconsegna di charis che invochi è nella direzione del ringraziamento, mai nel senso di un favore parimenti restituibile.

Al tempo stesso ci dischiudi l’orizzonte delle nuove relazioni fraterne a cui questo dono ci abilita. Sì, perché grazia genera grazia! La grazia elargita si esprime nel charisma, in un dono ricevuto per l’utilità comune (1 Cor 12,7); e colui che è stato «graziato» diviene veicolo di quella medesima grazia per molti fratelli e sorelle (1 Cor 13,12), per l’edificazione e il bene dell’intera comunità.

(L’autrice è claustrale nel monastero di Santa Chiara, a Milano)

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