Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Quando Gesù ci ha fatto conoscere il Padre

suor Chiara Beatrice
8 febbraio 2008
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Quando Gesù ci ha fatto conoscere il Padre
Il chiostro del santuario del Pater Noster, nei pressi di Betania, alle porte di Gerusalemme. Sulle ceramiche alle pareti la preghiera del Padre nostro in varie lingue.

«Signore, insegnaci a pregare». Alla domanda posta da uno dei discepoli, viene offerta la preghiera universale per eccellenza: il Padre nostro.


Camminando sulle orme della predicazione di Gesù, arriviamo in un luogo non lontano da Betania – la casa degli amici del Signore. Si tratta del posto dove, secondo la tradizione, Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare (oggi in quel luogo, sulla sommità del Monte degli Ulivi,  sorge appunto il santuario del Pater Noster – ndr).

L’evangelista Luca fa scaturire il Padre nostro dalla domanda di uno dei discepoli, un giorno che Gesù si trovava in un luogo a pregare: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli», mentre l’evangelista Matteo lo pone nel cuore del discorso della montagna, come un vertice da cui far partire un cammino di confidenza da giocare tutto nella novità della vita secondo il Vangelo. In ogni caso è la preghiera del Figlio, che ritroviamo anche negli evangelisti Marco e Giovanni come «preghiera dell’Ora» di Gesù, che esprime tutto il suo filiale affidamento al Padre. È preghiera universale ed ecumenica che non si esaurisce e non perde la sua forza se pronunciata infinite volte o declinata nei più diversi linguaggi, che resiste al tempo, alle nostre fragilità e divisioni, perché scaturita dal cuore e dalla preghiera del Figlio come dono di confidenza e di adorazione, di esigente fraternità e confessione di profonda e implorante debolezza.

Davanti a noi non sta solo l’estensione nei secoli di una preghiera che i discepoli di Gesù trasmettono di generazione in generazione, ma anche l’ampiezza nello spazio di una formula che ha raggiunto i confini più lontani, non per l’invenzione di Internet, ma grazie all’azione stupenda dello Spirito santo che nel cuore dei credenti insegna a dire: «Padre!» e nella cui forza essi osano pronunciarlo, testimoniarlo, secondo la promessa di Gesù: «Ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro (Gv 17,26)».  Dai Padri della Chiesa fino ai giorni nostri, sono numerosissimi i commenti alla preghiera che Gesù ci ha insegnato.

Penso a Chiara d’Assisi, che affidava la recita dei Pater noster alle sorelle che non leggevano il breviario, nella consapevolezza di come le parole del Signore fossero il culmine di ogni preghiera cristiana, il compendio di quel vangelo scelto come forma della vita. Rileggo Francesco d’Assisi che tra i suoi scritti ha una ricchissima parafrasi del Padre nostro, con passaggi davvero belli e impegnativi come questo: «E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa’ che pienamente perdoniamo, sì che per amor tuo amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti». Pregare il Padre nostro è un esodo fuori dal male, che passa attraverso un perdono ricevuto e donato, che viene nutrito da un pane dato ogni giorno per quell’oggi. È un camminare che nella volontà di Dio trova la pace.

(L’autrice è clarissa nel monastero di Santa Chiara a Milano)

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