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Nebo, la basilica ritrovata

Beatrice Guarrera
26 maggio 2017
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Dopo restauri complessi, restituite alla preghiera e all'ammirazione dei pellegrini le vestigia dell'antica basilica bizantina che si affaccia sul deserto e la Valle del Giordano.


Dall’alto del monte da cui Mosè guardò – senza potervi entrare – la Terra Promessa, la vista è straordinaria: il deserto, il Mar Morto, le città vicine. Nelle giornate limpide si scorge persino Gerusalemme. Dopo l’inaugurazione di ottobre 2016, al termine di lunghi lavori di restauro, il Memoriale di Mosè sul Monte Nebo può essere di nuovo apprezzato in tutta la sua bellezza. È un posto splendido, in grado di lasciare senza parole pellegrini e turisti in cerca di luoghi indimenticabili. Per questo vale la pena visitarlo.

Padre Michele Piccirillo, il frate archeologo della Custodia di Terra Santa che dedicò gran parte della sua vita al Nebo, non ha potuto vedere l’opera conclusa, ma altri l’hanno portata a termine in sua memoria. Al posto del religioso venuto a mancare nel 2008, padre Eugenio Alliata ha guidato gli scavi archeologici della basilica, insieme al suo allievo, il giovane archeologo Davide Bianchi. I lavori hanno puntato essenzialmente a preservare gli elementi archeologici del luogo e a dare risalto all’aspetto religioso. Tutti i pavimenti e i lacerti musivi sono stati sottoposti a un accurato restauro prima di venire ricollocati all’interno della chiesa. Per consentire la piena lettura di ogni singola fase archeologica, si è deciso di collocare sulle pareti i mosaici dei livelli più recenti e di riposizionare in situ quelli più antichi. È stata quindi realizzata una nuova copertura e la struttura è stata consolidata perché possa resistere meglio al dissesto geologico.

Il Memoriale di Mosè, sito a ovest di Madaba, in Giordania, si erge su un terreno acquistato dai francescani nel 1932 grazie a fra’ Jerome Mihaic. Il frate era amico di diverse famiglie beduine che vivevano nei dintorni del fiume Giordano e così fece in modo che, attraverso la diretta collaborazione del religioso con l’emiro Abdallah ibn al-Husayn I, la Custodia di Terra Santa potesse acquistare lo sperone di Siyagha dai membri della tribù wekhyan.

Dopo le recenti indagini archeologiche, lo studio delle epoche più antiche del santuario è al vaglio degli studiosi, mentre sono meglio note le vicende successive. In particolare sappiamo che nel VI secolo d.C. la basilica del complesso monastico fu ampliata e abbellita con nuovi mosaici e il monastero continuò ad esistere fino al IX secolo. I cristiani continuarono a frequentare il santuario di Mosè, quindi, anche dopo la conquista islamica. Le recenti scoperte archeologiche mostrano che, dopo il terremoto del 749, l’abside della chiesa e alcune stanze del monastero furono restaurate. Con il tempo il luogo andò incontro ad un lento abbandono, per tornare nuovamente all’attenzione più di mille anni dopo, quando i primi esploratori europei cercarono di identificare i luoghi santi che si trovavano nel deserto della Giordania.

La prima copertura a protezione della basilica, che consisteva in una struttura prefabbricata di ferro ed eternit, risale al 1963, quando padre Virgilio Corbo, archeologo francescano, era a capo dei lavori. Corbo intraprese una serie di indagini archeologiche che portarono alla scoperta di nuovi mosaici. La guerra arabo-israeliana dei Sei giorni, nel 1967, pose fine a questa fase e il Monte Nebo divenne un’area militare fortificata. Alcuni anni più tardi, nel 1976, a padre Michele Piccirillo venne attribuito l’incarico di responsabile delle antichità del Regno di Giordania. Durante gli scavi da lui diretti, venne identificato il pregiato mosaico del Diakonikon, ancor oggi il più bel mosaico integro della Giordania. La morte di padre Piccirillo, nel 2008, comportò un vuoto nel coordinamento dei lavori di restauro che, dopo una prima fase sotto la direzione di Carmelo Pappalardo, venne affidato nel 2012 a padre Eugenio Alliata, coadiuvato dal dottor Davide Bianchi.

Racconta Alliata: «La copertura di protezione necessitava d’essere migliorata e così è stato indetto un concorso che ha visto la partecipazione di architetti di fama internazionale. Il progetto scelto, dell’architetto Roberto Sabelli, è stato quello che puntava di più a conservare l’aspetto religioso del santuario. Con la sua bellezza deve aiutare anche la preghiera».

Il terreno su cui sorge la basilica del Monte Nebo è delicato dal punto di vista geologico a causa della sua instabilità, determinata dal sovrapporsi di strati di calcare e di strati di argilla. Si è dovuto svolgere, dunque, un lavoro accurato per piantare pali di fondazione di una lunghezza di 15-20 metri. Ogni nuovo pilastro è quindi tendenzialmente leggero e ha una serie di pali che lo legano in profondità a diversi strati. I materiali di costruzione utilizzati in passato, come il cemento e le coperture di eternit, sono stati sostituiti con alcuni più moderni: per i tetti lo zinco-titanium, mentre per unire i mosaici una speciale calce. «Abbiamo voluto che il risultato fosse buono e duraturo e che il lavoro svolto servisse anche come addestramento per gli operai e i tecnici giordani, per quando incontreranno nuovamente un edifico antico che si vuole preservare», ha detto Alliata.

In questi ultimi anni di scavi è stata fatta anche un’importante scoperta. La spiega Davide Bianchi: «Durante le indagini di archeologia preventiva in cui sono stato coinvolto dal 2012 al 2014, l’attenzione si è concentrata sulla navata centrale, nella quale sono stati tolti i livelli di cemento moderno per poter procedere allo scavo. Lungo l’asse centrale è stata identificata una tomba inedita coperta da cinque pietre. Una volta aperta si è presentata completamente vuota». A volerla descrivere, appare poco profonda e presenta all’interno un filare superiore, costituito da pietre di marmo alabastrino che corrono intorno alla tomba, e un filare inferiore, ricoperto da un sottile strato di intonaco di colore rosso. La tomba è di epoca bizantina, costruita all’interno della chiesa per volere dai monaci cristiani nella seconda metà del V secolo. Deve intendersi probabilmente come un cenotafio collocato nella chiesa per ricordare la figura biblica di Mosè. Come da tradizione, infatti, le principali chiese martiriali del tempo presentavano, spesso sotto l’altare, un reliquiario con le ossa dei martiri a cui era stata dedicata la chiesa. Il cenotafio del Memoriale di Mosè si inserisce così in quella serie di complessi monastici giordani dedicati alla venerazione dei personaggi biblici. Già la pellegrina Egeria, nel IV secolo, ricordava in quel punto il luogo di una memoria, sopraelevata dal pavimento.

«L’obiettivo della Custodia era rendere il sito più fruibile – precisa Bianchi –. I pellegrini adesso possono trovare un ambiente adatto alla preghiera e alla visita, perché la struttura è isolata termicamente e ci sono servizi più agevoli».

Dopo i lavori, sono stati appesi alle pareti alcuni mosaici restaurati, ridonando ai visitatori la possibilità di ammirare quelle straordinarie opere d’arte del passato. Il valore dei mosaici risiede nella loro ricchezza: una ricchezza iconografica, prima di tutto, come quella del mosaico del Diakonikon, scoperto da Padre Piccirillo e databile al 530; c’è poi una ricchezza nei dettagli, per la particolare precisione con cui sono stati realizzati; infine una dovizia di informazioni è fornita dal contenuto delle epigrafi greche e dalle rappresentazioni dei personaggi. Le iscrizioni musive suggeriscono preziose notizie sul contesto sociale dell’antica popolazione della Giordania. Alcuni mosaici sono interessanti, inoltre, perché recano i segni della crisi iconoclasta, ossia della distruzione intenzionale di alcuni soggetti viventi raffigurati nelle immagini musive.

Cosa resta ancora da fare per il Memoriale di Mosè sul Monte Nebo? La realizzazione della pannellistica informativa, la definizione e la messa in sicurezza del percorso espositivo e la creazione di punti di osservazione per orientare i visitatori a comprendere l’ambiente circostante. Tutti lavori che continuano mentre il luogo è finalmente aperto al pubblico. «Quando veniamo qui, noi sentiamo la Bibbia rivivere sul posto – sostiene padre Alliata –. Come Mosè era confidente di Dio, noi qui cerchiamo la confidenza di Dio, cerchiamo la Sua presenza su questa montagna. Per questo la comunità francescana vuole riproporre un ambiente di preghiera, di ricerca di Dio. Un ambiente aperto a tutti».


 

Gli ultimi passi del profeta condottiero

Nella Bibbia, il Libro del Deuteronomio – al capitolo 34, versetti 1-7 – racconta così la conclusione della vita terrena di Mosè, avvenuta su quel balcone naturale, affacciato sulla terra promessa, che è il Nebo:

«Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutta la terra: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, la terra di Èfraim e di Manasse, tutta la terra di Giuda fino al mare occidentale e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Soar. Il Signore gli disse: “Questa è la terra per la quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: “Io la darò alla tua discendenza”. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!”. Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l’ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nella terra di Moab, di fronte a Bet-Peor. Nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba. Mosè aveva centoventi anni quando morì. Gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno».


 

Stupore e preghiera

Il nuovo edificio del Memoriale di Mosè intende integrare due dimensioni: quella turistica e quella spirituale. Sui due lati della navata, appositi spazi valorizzano gli scavi archeologici e i mosaici. L’abside si presta, in qualche modo, ad isolare i gruppi di pellegrini durante la celebrazione eucaristica o una pausa di meditazione sul testo biblico, riguardo a questo luogo e alla vocazione di Mosè. In caso di grande affluenza, anche una seconda cappella può accogliere i pellegrini. Al santuario si recano in visita cristiani, ebrei e musulmani. Per questi ultimi, che costituiscono la maggioranza in Giordania, il Memoriale è anche un motivo di vanto nazionale.

Tre francescani della Custodia di Terra Santa – un brasiliano, un italiano e un giordano – formano la fraternità che custodisce il luogo santo. Ogni giorno quando, a sera, il santuario chiude i battenti ai visitatori, i frati si immergono in un silenzio interrotto solo dalla preghiera comunitaria. E sovente la natura offre loro uno spettacolo mozzafiato con il tramonto del sole sul deserto.

Terrasanta 3/2017
Maggio-Giugno 2017

Terrasanta 3/2017

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