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Michael Perry. La missione dell’ascolto

Giuseppe Caffulli
20 marzo 2015
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Michael Perry. La missione dell’ascolto
Fra Michael Perry, Ministro generale dei Frati minori.

«Credo che sia scritto nel nostro Dna: non possiamo mai rimanere dove siamo. Siamo pellegrini, siamo in ricerca, siamo in viaggio verso un amore che ci attira e che dà senso alla nostra vita». Fuori il cielo di Roma, sopra il cupolone di San Pietro che si intravvede dalla finestra, è quanto mai corrucciato. Fra Michael Perry, il Ministro generale, attraversa gli spazi austeri della Curia generalizia dei Frati minori con il passo svelto di chi, nella sua vita, di strada ne ha percorsa tanta, dalle periferie d’Indianapolis, Usa, alle piste dell’Africa nera; dalle periferie esistenzali (come direbbe Papa Francesco) popolate di poveri e di carcerati alle frontiere del dolore in Darfur. E sente, avendo visto la morte in faccia, di non dover perdere tempo per testimoniare la gioia del Vangelo.

«Sono nato in una famiglia cattolica, terzo di 5 figli, a Indianapolis, in una realtà molto dinamica, formata da famiglie di origini irlandesi. La mia famiglia e la mia parrocchia sono state fondamentali. Da ragazzo ero però molto irrequieto, sempre alla ricerca di una mia strada».

Cosa accadde?
All’università studiavo legge, ma allo stesso tempo lavoravo come impiegato in un’impresa edile. Mi sentivo perso, non frequentavo molto la chiesa, ero preso da altre cose… Un giorno una suora, una ex insegnante, mi chiede, visto che suonavo la chitarra, di animare una celebrazione ecumenica promossa dai francescani con i fratelli metodisti. Rimasi molto colpito da quella esperienza di collaborazione e di condivisione, che si concretizzava anche nell’impegno comune in Appalachia, una delle zone più povere degli Stati Uniti. L’estate seguente ho fatto una esperienza di volontariato proprio in quella regione. Ci sono stato due mesi. Laggiù, per la prima volta, ho incontrato veramente i poveri. Ho capito che c’entrava con lo stile francescano: la capacità di superare le barriere per andare incontro agli altri.

Insomma, catturato dal carisma di san Francesco…
In realtà di Francesco e del francescanesimo non sapevo nulla. Solo durante quel periodo ho iniziato a cercare qualche notizia sul Santo d’Assisi.  Dopo quella esperienza di volontariato, però, sono tornato a casa trasformato. Sentivo una costante attrazione verso uno stile di vita diverso da quello che avevo condotto fino a quel momento, ma allo stesso tempo ero molto indeciso… Durante la mia esperienza in Appalachia avevo conosciuto una coppia di sposi.  Proprio loro, vedendo la mia insoddisfazione e la mia irrequietezza, mi hanno spinto a prendere contatto con i francescani. Ho chiesto la possibilità di fare una prova, ma non volevo ancora impegnarmi. Sono uscito tre volte dal postulantato. Una prima volta per verificare la relazione con una ragazza, con la quale avevo coltivato un’amicizia. Cercavo di allontarnarmi, ma c’era qualcosa che non mi lasciava…. E alla fine ho chiesto di essere accolto in noviziato».

Cosa ricorda di quel periodo?
È stata un’esperienza molto interessante, perché abbiamo svolto il nostro cammino formativo insieme alle suore francescane. Per me è molto sano avere relazioni con il mondo femminile durante la formazione e il discernimento vocazionale. Durante il noviziato ho potuto conoscere la dimensione missionaria del francescanesimo attraverso la figura del nostro maestro, che da sempre desiderava andare ad gentes. Così ha contagiato molti di noi all’ideale missionario. Quando poi i francescani belgi ci hanno chiesto di proseguire la loro presenza missionaria in Congo, io mi sono reso disponibile.

La partenza per le missioni non è stata però immediata…
Dovevo completare la formazione, studiare la teologia. A Chicago, dove mi trovavo, oltre allo studio ci si calava in una realtà pastorale, in modo da accompagnare la crescita intellettuale con quella umana e spirituale. Io ero stato destinato ad una comunità afro-americana. Per me è stata una esperienza fondamentale. Avevo sempre visto l’impegno dei frati all’interno delle comunità cattoliche di origine irlandese o comunque europee. Lavorare tra gli afro significa toccare con mano una realtà profondamente diversa e le ferite di un popolo che ha molto sofferto nella storia del nostro Paese. Per non parlare del razzismo che ancora oggi continua. Ho dovuto anch’io purificare il mio cuore e i miei pensieri verso questi fratelli. E imparare a non guardare ad un Cristo bianco, ma ad un Cristo che prende il volto degli uomini di tutte le culture.

Una sorta di preparazione all’impegno ad gentes
L’esperienza tra gli afro-americani mi ha ancor più motivato a rendermi disponibile per la missione. Così, insieme ad un altro confratello, ho chiesto la possibilità di partire per il Congo. Dopo un anno appena, ho avuto un terribile incidente in motocicletta, mentre stavamo visitando alcuni villaggi della savana, il 25 dicembre, giorno di Natale. Ero molto grave, direi in fin di vita. Solo dopo due settimane la missione è stata raggiunta da un piccolo aereo dei missionari protestanti, e ho potuto essere trasportato negli Stati Uniti per le cure. A poco a poco mi sono ripreso. Ho finito gli studi teologici, sono stato ordinato sacerdote, sono ritornato per un breve periodo a lavorare nelle comunità afro-americane. E alla fine ho chiesto di ritornare in Africa…

Per quale ragione si è interrotta la parentesi missionaria?
I superiori mi hanno richiamato negli Usa per diventare rettore del seminario e maestro del post-noviziato. Anni molto interessanti, nei quali ho insegnato missiologia, antropologia e islamologia. Poi ho fatto il cappellano nelle prigioni. E mi sono impegnato per cercare di liberare dal carcere persone accusate ingiustamente, senza i mezzi per difendersi. Ho scoperto in quel periodo il legame tra giustizia e carità. L’una non può essere disgiunta dall’altra. Ho ricominciato a leggere in quest’ottica i testi francescani e ho scoperto che l’esperienza di Francesco a San Damiano non ha senso senza l’esperienza con il lebbroso. Le due esperienze sono collegate. Un insegnamento che noi frati minori dobbiamo tenere presente, una delle radici della nostra spiritualità.

Nasce da qui l’attenzione alla sfera sociale?
Direi di sì. Stavo completando il dottorato in antropologia in Inghilterra quando sono stato chiamato dalla Conferenza episcopale degli Usa proprio per lavorare nell’Ufficio Giustizia, pace e affari internazionali. Ero specialista per l’Africa e sui temi della giustizia. Diverse volte all’anno visitavo l’Africa, accompagnando i vescovi americani: Darfur, Sud Sudan, Sierra Leone, Liberia, Congo… Ovunque fosse necessario dare una testimonianza di solidarietà. A volte siamo stati alla Casa Bianca, al Congresso americano, per portare informazioni e per chiedere un cambiamento della politica americana in quei Paesi.

Da Ministro generale, ha avuto il privilegio di accompagnare Papa Francesco in Terra Santa, nel maggio 2014.
Era la seconda volta che incontravo il Papa. Quando si è recato ad Assisi, ho scoperto un uomo capace di manifestare con la sua umanità il profondo rispetto per l’esperienza degli altri, il desiderio di promuovere dialogo e condivisione. Ho avvertito in lui una grande libertà. Francesco non si cura di essere Papa, di rivestire un ruolo. Si preoccupa della sua personale relazione con Gesù e con l’umanità che gli è stata affidata. In questa chiave leggo la sua vicinanza a noi frati minori: essere fratelli, aiutare tutti a incontrare Cristo. Un’attenzione e una stima che ha espresso anche visitando la sede della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme e pranzando informalmente con noi frati.

Come vive il rapporto con la Terra Santa, la «perla delle missioni» francescane?
Devo fare una confessione. Avevo tanti pregiudizi circa la presenza francescana in Terra Santa. Soprattutto per ignoranza. Prima del mio incarico presso la Curia generalizia non avevo avuto modo di conoscere e di visitare la Terra Santa. Conoscevo qualcosa della politica d’Israele e Palestina, ma del resto quasi nulla. Poi avevo una seconda perplessità: leggendo la storia della presenza dei francescani in Terra Santa per curare i Luoghi Santi e i pellegrini, non capivo quale fosse il senso della nostra vita in quelle terre.
Ho dovuto aspettare di visitare la Terra Santa con il definitorio generale. Ho scoperto per la prima volta la qualità delle relazioni, specie con gli arabi ma anche con gli ebrei. Ho visto esperienze di dialogo, di ascolto; il nostro vivere la minorità in ogni contesto, l’importanza di custodire la memoria cristiana e i santuari della fede. Ho dovuto ripensare e smontare i miei pregiudizi. Posso parlare di una vera conversione. Ora mi rendo conto che all’interno dell’Ordine, oggi, non è ancora ben compreso il valore della presenza francescana in Terra Santa.

Dal 10 maggio al 7 giugno prossimi si terrà ad Assisi il Capitolo generale dei Frati minori. Qual è ancora oggi l’attualità di Francesco?
Francesco ci insegna ad essere presenti, con semplicità e umanità, nei vari contesti. È quello stile di «Chiesa in uscita» che piace tanto a Papa Francesco. Religiosi e sacerdoti, ma questo vale per gli educatori in genere, ci riteniamo specialisti delle problematiche dei giovani, dei poveri, degli anziani, quasi sempre però senza prestare loro ascolto. Noi frati siamo chiamati prima di tutto a stare tra le persone per vivere e condividere. Dobbiamo riguadagnare uno spazio ricco di umanità e di relazioni. Il mondo oggi è troppo spesso dominato dai monologhi. Dobbiamo essere sempre più uomini di dialogo, superando la tentazione di sapere sempre cosa dire e cosa fare…  Dobbiamo prima di tutto ascoltare. Se ripartiremo dall’«alfabeto del dialogo» che Francesco ci ha insegnato con la sua vita povera e itinerante, riusciremo a comunicare agli uomini la speranza. E a testimoniare la possibilità di una umanità capace di pace e di giustizia.

 


 

Missionario e antropologo

Fra Michael Perry è nato a Indianapolis, Indiana (Usa) nel 1954. Ha emesso i voti solenni tra i Frati minori il 10 ottobre 1981 ed è stato ordinato sacerdote il 2 giugno 1984.

Dopo una lunga parentesi missionaria, nel 2008 è stato eletto Ministro provinciale della Provincia del Sacro Cuore di Gesù. Nel 2009 è stato chiamato a Roma come vicario generale di fra José Rodriguez Carballo. Divenuto quest’ultimo segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata, Perry ne ha preso il posto come Ministro generale. Ha lavorato per il Catholic Relief Services e presso la Conferenza episcopale degli Usa. Oltre agli studi teologici, si è laureato in Antropologia religiosa, Storia e Filosofia. È divenuto Ministro generale dell’Ordine, il 22 maggio 2013, per completare il mandato di sei anni del suo predecessore. Nell’omelia della sua prima messa come nuovo Ministro fra Perry ha indicato lo stile a cui sono chiamati i Frati minori: «Vivere la condivisione e la fraternità come testimonianza della misericordia di Dio».

A Santa Maria degli Angeli (Assisi) dal 10 maggio al 7 giugno prossimo, i Frati minori celebreranno il Capitolo generale che prevede l’elezione del governo dell’Ordine per il prossimo sessenio. Tema dell’Instrumentum Laboris: «Fratelli e minori nel nostro tempo».

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