Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Umorismo e ironia sale della vita

Elena Lea Bartolini
30 novembre 2009
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Molti maestri nel giudaismo concordano sull’idea che la malinconia non sia un affare, né in questo mondo né in quello avvenire, mentre le gioie vengono dal paradiso, compresa la battuta più misera, a condizione che sia detta con spirito di vera gioia. Non a caso quindi umorismo e ilarità, ironia e facilità alla beffa benevola, hanno da sempre caratterizzato la tradizione ebraica che coglie anche nell’agire divino tali atteggiamenti. La Bibbia infatti ci mostra Dio non soltanto come creatore misericordioso ma anche come Colui che sa trattare con la stoltezza dell’uomo ridendosela. Nel Salmo 2, ad esempio, si menzionano i «re della terra che si ribellano al Signore», «ma Egli in cielo… se la ride di loro» (Sal 2,2.4). Analogamente, e con la stessa ironia mordace, il profeta Elia sul monte Carmelo si prende gioco dei sacerdoti di Baal che vorrebbero rivaleggiare con lui e con la sua religione: «Dovete gridare più forte. Urlate più che potete se volete che Baal, il vostro Dio, vi senta veramente». E dopo tale provocazione aggiunge: «Forse è immerso in profondi pensieri, o forse si è appartato (il verbo utilizzato nell’originale ebraico indica l’appartarsi per un bisogno naturale, pertanto la traduzione può essere: "o forse è al gabinetto"), o è in viaggio, o forse sta facendo il suo pisolino pomeridiano» (1Re 18,27).

Sempre sul versante umano, ma in epoca più recente, possiamo ricordare il quesito posto da Shemayah al rabbino della sua comunità: «Signor rabbino, c’è una cosa che non mi torna, sa, nella storia della creazione. Quando il Santo, sia Egli benedetto, ha creato l’uomo, perché gli ha fatto le narici che guardano in giù, così quando si fiuta tabacco ne casca sempre un po’ per terra e va sprecato? Se gli avesse fatto le narici rivolte all’insù, dico io, non ne andrebbe persa neanche una briciola, di tabacco!». Il rabbino si gratta la barba, ci medita per un certo tempo, e poi risponde: «Ha fatto bene, anzi benissimo, il Santo Benedetto a non prendere consigli da un bietolone come te… Se, per carità, avesse fatto le narici in su, la pioggia entrerebbe dentro e farebbe marcire tutto il tabacco…».

È importante saper ridere dei propri difetti e aiutare gli altri a fare altrettanto per affrontare le avversità della vita con un sano ottimismo. È ciò che ci ricorda Ben Menachem, che non perde occasione per benedire. Mentre sta, come di suo solito, tessendo le lodi del Santo, sia Egli benedetto, dicendo: «Dio ha fatto tutto bello…», l’eretico di turno, in vena di beffe, coglie la palla al balzo e lo interrompe: «Ah, sì, Ben Manachem, e tu con la tua gobba, anche tu fai parte delle meraviglie della creazione?» Ben Manachem non si perde d’animo e replica: «Certo, mio caro: come gobbo sono assolutamente perfetto…». Sulla stessa linea è l’osservazione di Sussja nei confronti di Elimelech che è cieco da un occhio: «Fortunato tu, avrai certo una morte facile». «Cosa te lo fa pensare? – domanda l’orbo -. Be’, ti resterà da chiudere un occhio solo…».

Tali esempi attestano che l’umorismo e la sana ironia si esprimono nella capacità di prendere il mondo così com’è, cercando di sopportarlo con saggezza, sorridendo con benevolenza sui limiti propri e altrui nella consapevolezza che, sebbene non tutto appare chiaro e sereno, al di là della nebbia e delle nubi può comunque esserci il sole.

(I testi citati sono rintracciabili in: E. Loewenthal, Un’aringa in paradiso, Baldini&Castoldi, Milano 1997, pp. 196-197, 40 e 189-190).

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