Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Sant’Antonio del Deserto

Alberto Elli
14 gennaio 2007
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Breve visita a uno dei più antichi e importanti monasteri dell'Egitto copto.


Il Dayr Anba Antunyus, come chiamano in arabo il Monastero di sant’Antonio, è uno dei più antichi e più importanti monasteri dell’Egitto, posto nel cuore della catena arabica, il sistema montuoso che delimita ad est la valle del Nilo, nella regione di Zaffarana, sul mar Rosso, 260 chilometri a sudovest del Cairo.

La sua origine risale agli inizi del IV secolo quando Antonio, che da anni si era ritirato in solitudine per vivere nella preghiera e nella mortificazione il suo personale rapporto con Dio, disturbato dal numero sempre crescente di persone che venivano a lui attratte dalla sua fama per chiedergli preghiere e consigli si aggregò a una carovana di beduini che si inoltrava nel deserto arabico e andò a ritirarsi in una grotta ai piedi del monte al-Qulzum (Klysma), nello Wadi al-‘Arabah, a circa trenta chilomentri dal Mar Rosso. Qui, dove una sorgente rendeva possibile la vita, in vicinanza del luogo ove ora sorge il monastero, dapprima solo e poi con la compagnia di alcuni discepoli, Antonio visse per quarant’anni, fino alla morte, avvenuta, all’età di centocinque anni, il 17 gennaio 356.

Il fenomeno dell’anacoretismo era già diffuso al tempo, ma non aveva ancora raggiunto l’aspetto di esodo dai luoghi abitati che si verificò sulla scia e sull’esempio di Antonio; a buon diritto, quindi, egli ha avuto il titolo di «padre del monachesimo». Quando ancora era vivo Antonio, infatti, e sul suo esempio, la pratica dell’eremitismo si diffuse in maniera sorprendente.

Inizialmente costituita da un certo numero di celle isolate, raccolte attorno a una chiesa, a un pozzo e a un refettorio per i pasti in comuni, la primitiva comunità si è allargata nel tempo. Ora il monastero si presenta come una vera e propria cittadella, circondata da un’alta cerchia di mura e abbellita dal verde di un rigoglioso palmeto.

Tra le numerose chiese antiche che l’insediamento monastico conserva, una di esse è particolarmente degna di nota, la chiesa di Sant’Antonio. Gli affreschi che la decorano, recentemente riportati allo splendore originale grazie a un intervento di restauro magistralmente compiuto da specialisti italiani, rappresentano il più completo e meglio conservato programma iconografico di pittura cristiana dell’Egitto medievale.

Due i cicli artistici, ugualmente importanti per l’arte copta: il primo del settimo-ottavo secolo, il secondo del tredicesimo secolo. Di particolare interesse è anche la biblioteca del convento, che custodisce antichi manoscritti.

Il fascino della figura di Antonio fu rafforzato e continuato dall’influenza straordinaria esercitata dalla Vita di sant’Antonio, la sua biografia, scritta in greco dal patriarca alessandrino Atanasio, così come comunemente si ritiene, poco dopo la morte del grande eremita. Un’opera che ebbe straordinaria diffusione, diventando un vero best-seller.

All’interno del complesso monastico, oltre alle celle dei monaci e alle chiese, sorgono oggi anche nuove costruzioni destinate per lo più all’accoglienza dei pellegrini copti (e non solo), che sempre più numerosi accorrono in quest’oasi spirituale. Il silenzio del deserto aiuta i pellegrini ad entrare in contatto profondo con le proprie radici cristiane.

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