Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

La Galilea, terra di maestri e di mistici

Elena Lea Bartolini
26 settembre 2006
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La Galilea, che comprende circa un terzo di ‘Eretz Jisra’el – la Terra di Israele -, si distingue come zona verdeggiante in un Paese che per due terzi è deserto. Raggiungendola dal sud attraverso i percorsi che si snodano fra i paesaggi silenziosi del Neghev, del Mar Morto e del deserto di Giuda che evocano il fascino misterioso di momenti diversi dei tempi biblici, si rimane sorpresi dal verde delle piantagioni lungo la valle del Giordano, dalla morbidezza delle colline del Golan che si affacciano su Kinneret – il lago di Tiberiade che la natura ha disegnato a forma di cetra -, dalle cascate formate dai fiumi che scendono dal monte Chermon e che simbolicamente ci riportano alle bellezze del Gan ‘Eden, il «paradiso terrestre» narrato nel secondo capitolo della Genesi.

Di fronte a tali bellezze riecheggiano le parole del salmista: «Ecco, come è buono e come è soave che i fratelli risiedano insieme! È come l’olio buono sulla testa, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende fino all’orlo delle sue vesti. È come la rugiada dello Chermon che scende sui monti di Tzion, perché là ha disposto il Signore la benedizione, la vita per sempre» (Sal 133). Sulla stessa linea il ritornello di un noto canto popolare israeliano che dice: «Canta per me Kinneret, canterai un canto antico…».

Ma non sono solo le bellezze naturali a caratterizzare questa regione: per la tradizione ebraica è la «patria» di grandi maestri che hanno permesso all’ebraismo di potersi ricostituire dopo la caduta del Santuario nel 70. Già all’epoca di Gesù di Nazareth anche qui, come a Gerusalemme, insegnavano maestri farisei di estrazione «laica» molto più vicini al popolo rispetto ai sadducei sostenuti invece dall’aristocrazia sacerdotale, i quali hanno dato vita ad una dialettica piuttosto vivace nei confronti delle posizioni dei «dottori del Tempio» nella prospettiva di un maggior avvicinamento di tutti allo studio e al commento delle Scritture. Recenti studi mostrano come anche Gesù abbia utilizzato criteri farisaici nell’interpretazione delle Scritture discutendo su alcuni «eccessi» denunciati anche da altri maestri, come Hillel, noto per la sua particolare misericordia verso tutti. Non a caso alcuni insegnamenti in parabole sono ritrovabili nella stessa versione attribuiti ad entrambi (si può vedere al riguardo: P. Lapide, Predicava nelle loro sinagoghe, Paideia, Brescia 2001).

Gli insegnamenti dei maestri farisei verranno ripresi e sviluppati nelle scuole rabbiniche che, dopo la seconda rivolta giudaica, fioriranno a Tiberiade, una delle città sante dell’ebraismo. È qui che all’inizio del III secolo verrà terminata la redazione della Mishnah, la tradizione orale codificata, seguita poi da quella palestinese del Talmud, fonte autorevole della tradizione rabbinica, ed è sempre in questo luogo che più tardi si compirà il minuzioso e prezioso lavoro di vocalizzazione dei testi sacri antichi: il così detto Testo massoretico che costituisce un punto di riferimento autorevole sia per gli ebrei che per i cristiani.

La Galilea inoltre è uno dei centri di sviluppo della mistica ebraica di cui ancora oggi la città di Tzfat (Safed) è un segno evidente, forse quella città «posta sopra al monte» menzionata nei Vangeli (cfr Mt 5,14), dalla quale – attraverso grandi falò – si annunciava l’inizio delle grandi festività. Qui si continua a venire in pellegrinaggio sulle tombe dei maestri per far memoria dei loro preziosi insegnamenti.

(L’autrice è docente di giudaismo presso il Centro Studi del Vicino Oriente di Milano)

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