Dalla scorsa estate il livello delle riserve idriche è sceso al minimo da 80 anni a questa parte. Le cause sono molteplici: precipitazioni scarse, gestione inefficiente, dighe lungo il corso dei fiumi e prelievi idrici da parte di Turchia e Iran.
In Iraq, fiumi e paludi si stanno prosciugando. E la siccità fa riemergere ciò che era stato sommerso: tombe, strutture archeologiche, antichi insediamenti. La crisi idrica, senza precedenti nella storia recente del Paese, sta mettendo a rischio non solo corsi d’acqua e zone umide, ma anche la tenuta sociale, economica e politica dell’intero territorio.
Dalla scorsa estate il livello delle riserve idriche è sceso a circa 10 miliardi di metri cubi, il minimo da 80 anni. È poco più della metà rispetto all’anno precedente. Le cause sono molteplici: precipitazioni scarse, gestione inefficiente, dighe a monte e deviazioni idriche da parte di Turchia e Iran. L’Iraq oggi riceve meno del 40 per cento dell’acqua che storicamente riceveva dai fiumi Tigri ed Eufrate.
Campagne aride e abbandonate
Nelle campagne, gli effetti sono visibili ovunque. Nella provincia di Dhi Qar, migliaia di famiglie hanno abbandonato i campi coltivati da generazioni. A Bassora, l’avanzata dell’acqua salata dal Golfo Persico ha contaminato le falde, facendo aumentare le malattie dovute all’acqua non salubre. L’agricoltura, una delle colonne portanti dell’economia nazionale, è in crisi profonda. L’irrigazione si basa su un sistema obsoleto, un vero colabrodo, che disperde buona parte dell’acqua. Il governo è arrivato a sospendere la semina di grano e altre colture strategiche.
Anche la zootecnia è in sofferenza. Gli allevamenti di bufali, concentrati nel sud, sono crollati: da oltre 150mila capi nel 2015 si è scesi sotto i 65mila. Mancanza d’acqua e aumento dei costi del foraggio hanno reso insostenibile l’attività. A sparire, insieme agli animali, sono anche le paludi mesopotamiche, un tempo tra le più vaste del Medio Oriente. Quelle di Hawizeh, in particolare, si stanno prosciugando rapidamente. Oltre alla siccità, contribuiscono le estrazioni petrolifere e il pompaggio intensivo dai pozzi.
La siccità restituisce reperti antichi
In alcune aree, come abbiamo accennato all’inizio, il livello dell’acqua è sceso tanto da rivelare antichi resti: nel bacino della diga di Mosul sono tornate alla luce tombe e strutture di epoca mesopotamica. È il paradosso di una crisi che, prosciugando il presente, riporta in superficie i resti di civiltà sepolte.
Sul piano diplomatico, Baghdad ha intensificato i contatti con Ankara. A luglio 2025, il presidente del Parlamento Mahmoud al Mashhadani ha incontrato autorità turche per chiedere un aumento dei flussi. Il ministero delle Risorse idriche ha riaperto il dialogo sull’accordo quadro firmato nel 2024. Ma le promesse restano vaghe e non vincolanti. Le grandi dighe turche, come quella di Ilısu, continuano a trattenere l’acqua. Anche l’Iran devia gli affluenti del Tigri, aggravando il deficit.
Una questione internazionale
Nel tentativo di dare un quadro legale più solido alle sue rivendicazioni, l’Iraq ha aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui corsi d’acqua transfrontalieri. È il primo Paese del Medio Oriente a farlo. Ma senza istituzioni solide e credibili, l’adesione resta simbolica. Le divisioni interne e l’assenza di una linea unitaria rischiano di trasformare l’acqua in una merce di scambio temporanea, più che in una risorsa condivisa.
Sul fronte interno, le misure annunciate si scontrano con limiti strutturali. Il primo ministro al Sudani ha presentato un piano per impianti di desalinizzazione, in particolare a Bassora, ma i progetti avanzano lentamente. La burocrazia, i veti politici e le accuse di corruzione ne frenano l’attuazione. Intanto, le proteste per l’interruzione del servizio idrico si moltiplicano in diverse città, segnalando un crescente malessere sociale.
Alla ricerca di alternative
Il ministero dell’Agricoltura ha promosso tecniche di irrigazione a goccia e a spruzzo, e incoraggiato la coltivazione di piante meno esigenti dal punto di vista idrico, come orzo e ortaggi. Sono stati chiusi pozzi illegali e sequestrate infrastrutture abusive. Secondo dati ufficiali, le misure avrebbero portato a un risparmio di 50–80 metri cubi al secondo, sufficiente per oltre mezzo milione di persone. Ma si tratta ancora di una goccia nel mare.
A livello internazionale, l’Unione europea ha stanziato 1 milione e 100mila euro per interventi idrici e igienici urgenti a Bassora, nel sud del Paese. Un aiuto destinato a circa mezzo milione di persone. Iraq e Regno Unito hanno incluso nel loro accordo commerciale un progetto idrico da 5 miliardi e 300 milioni di sterline per il sud-ovest. Ma anche questi fondi, pur rilevanti, appaiono insufficienti rispetto alla portata della crisi.
Un problema ambientale e politico
L’Iraq affronta oggi una minaccia sistemica. L’acqua non è più solo una questione ambientale: è un problema politico, economico e di sicurezza. Gli analisti sottolineano la necessità urgente di creare un organismo nazionale per la «diplomazia dell’acqua», con poteri reali di contrattazione e coordinamento tra i ministeri. Questo ente dovrebbe integrare le politiche agricole, energetiche, ambientali e irrigue in una strategia coerente e a lungo termine.
Servono investimenti concreti in desalinizzazione, stoccaggio intelligente, rigenerazione delle paludi, recupero delle falde. Servono istituzioni credibili, ma soprattutto volontà politica. In sua assenza, il rischio è che la terra tra i due fiumi – culla delle civiltà – diventi il simbolo di un ecosistema collassato e di uno Stato incapace di garantire ai suoi cittadini l’accesso all’acqua.



























