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La pace costruita dal basso

Giacomo D'Onofrio
4 luglio 2025
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La pace costruita dal basso
Alcuni vescovi delle diocesi toscane in preghiera presso il muro di separazione a Betlemme. (foto Giacomo D’Onofrio)

I vescovi della Toscana, giunti l’8 giugno in pellegrinaggio in Terra Santa, hanno dovuto lasciare in anticipo Gerusalemme e in modo doloroso, per l’attacco militare di Israele all’Iran. Ma, nei loro incontri, le molte testimonianze di cristiani disarmati.


Gabriele Nissim, giornalista, saggista e storico, fondatore nel 1999 di Gariwo la Foresta dei Giusti, intervenendo alle Nazioni Unite, ha affermato: «Forse mai come oggi abbiamo bisogno di tanti uomini giusti che ricostruiscano con il loro esempio un nuovo legame che riunisca tutte le nazioni del pianeta. A loro spetta il difficile compito di ricucire le relazioni in un clima pesante di contrapposizioni». Negli stessi giorni papa Leone XIV parlando ai vescovi italiani, ha esortato: «Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa».

Questa «via umile» è stata vista nel recente pellegrinaggio compiuto in Terra Santa con i vescovi della Toscana. Un viaggio che ha avuto vasta eco per la sua «coda» imprevista: dopo l’attacco sferrato da Israele all’Iran il 13 giugno, infatti, tutta la delegazione è stata costretta a riparare ad Amman in Giordania e da lì attendere qualche giorno per poter fare ritorno in Italia. Eppure, il «di più» era accaduto prima, nelle giornate che ci hanno condotti fra Gerusalemme, Betlemme, Gerico, a conoscere tanti gesti quotidiani fatti di coraggio, pazienza, ascolto e azione per provare a seminare pace in quella «notte scura» – come l’ha definita il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa – che sta attraversando la Terra Santa. Una «notte scura» dove l’opera di alcuni «risorti» fa intravedere la possibile alba. E torna alla mente Isaia e quella domanda che è quasi preghiera: «Custos, quid de nocte?» Quanto resta di questa notte scura nessuno lo può sapere; tuttavia, nel pellegrinaggio abbiamo toccato con mano che c’è chi sta facendo di tutto per collaborare con Dio affinché passi e si possa scorgere l’arrivo di un giorno nuovo.

Tra coloro che hanno detto: «Ma cosa siete andati a fare?» e altri che, di converso, hanno parlato di «fuga» dei vescovi di fronte al pericolo, c’è quello che è accaduto davvero in Terra Santa nei giorni del pellegrinaggio. Che non è stato un atto avventato e da cui nessuno è fuggito anzitempo.

Abbiamo fatto fino in fondo, tutti, la nostra parte perché questo viaggio, preparato da mesi e già annullato una volta, potesse essere ciò per cui era nato: un pellegrinaggio- segno, un gesto di concreta solidarietà e vicinanza alle comunità cristiane che in quei luoghi benedetti testimoniano, in modo davvero disarmato, la forza della carità. È questo, infatti, il linguaggio che i cristiani portano avanti, attraverso numerose opere sociali, che abbiamo potuto visitare e conoscere.

Lo fanno i frati della Custodia di Terra Santa, nei molti luoghi che curano e nelle attività che suscitano in ambito educativo, culturale, sociale, caritativo. Lo fanno tante realtà che i vescovi della Toscana hanno visitato: dall’ospedale Saint Louis di Gerusalemme, dove arabi, cristiani ed ebrei incrociano le loro vite, alla casa-famiglia che a Betlemme accoglie ragazzini, figli di famiglie cristiane attraversate da difficoltà relazionali; dal centro Dar al Majus, sempre a Betlemme, una realtà all’avanguardia sul versante del welfare, al Centro di Azione cattolica, grande oratorio per ragazzi e adulti, adiacente alla più antica scuola del territorio; dalla parrocchia latina di Beit Jala dove, per le 600 famiglie (circa tremila persone) la vita si è ulteriormente complicata dopo il 7 ottobre 2023, perché molti non hanno più il permesso di entrare in Israele per lavorare, al Mosaic Center di Gerico, dove giovani musulmani vengono introdotti all’arte del restauro di opere mosaicali cristiane. O, ancora, al Magnificat di Gerusalemme, dove docenti e allievi ebrei cristiani e musulmani attraverso lo studio di uno strumento musicale, sperimentano che la convivialità delle differenze è possibile.

E lo fa don Mario Cornioli, sacerdote fidei donum della diocesi di Fiesole, che da dieci anni vive ad Amman, dove ha aperto un ristorante italiano e una sartoria nei quali dà lavoro a giovani iracheni profughi di guerra. Lo fa, infine, chi non smette di pregare perché arrivi lo shalom! Ecco, se la pace – come scrive Gabriele Nissim – si costruisce dal basso, allora in Terra Santa ci sono tanti seminatori, proprio come quelli narrati nella parabola.

Rovi, strade, pietre ci sono in abbondanza, anzi talvolta pare di vedere solo quelle, ma c’è anche un terreno buono dove chi semina, prima o poi, vedrà germogliare frutti nuovi. Essere riparatori di brecce è faticoso, a volte perfino ingrato, ma riparare è l’unica via che, come cristiani, possiamo percorrere per non lasciarci inghiottire da questa «notte scura» e preparare, invece, l’arrivo del sole.

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