Le tre canzoni più ascoltate in Israele nei primi mesi del conflitto. I messaggi registrati trasmessi sugli autobus dopo il 7 ottobre 2023 («A ogni fermata partiva l’annuncio “Siete arrivati in via Tal dei tali”, seguito da uno slogan a metà strada tra il consolatorio e il propagandistico, come “Insieme siamo forti” oppure “Supereremo tutto questo insieme”. Gli autisti, che Dio li benedica, spesso li interrompevano a metà»). Il podcast ideato, anch’esso dopo il 7 ottobre, da due ragazzi palestinesi israeliani, Amira Mohammed e Ibrahim Abu Ahmad. In inglese per farsi capire da tutti (arabi, israeliani e stranieri) aveva per titolo Unapologetic: The Third Narrative e per obiettivo creare una terza narrazione, in controtendenza rispetto all’idea, diffusa in Occidente, che «qui sia tutto bianco o nero, che esistano solo due narrazioni, che uno può essere solo pro-israeliano o pro-palestinese». La maglietta con la scritta Lo LeShavè («Non invano»), indossata nella primavera del 2024 da molti manifestanti in piazza contro il governo, a favore di un accordo per liberare gli ostaggi rapiti da Hamas.
Sono solo alcune delle immagini che attraversano l’ultimo libro di Anna Momigliano, giornalista e scrittrice, collaboratrice, tra gli altri, del New York Times, Il Post, Rivista Studio e del quotidiano israeliano Haaretz. Spiragli di vita quotidiana che fanno respirare l’atmosfera di quei mesi e ben delineano il clima del Paese.
I fatti che si sono verificati dopo il 7 ottobre sono stati, scrive l’autrice, «una reazione alla carneficina da parte di Hamas, ma anche il risultato della traiettoria che la società israeliana aveva assunto da un po’». Il testo indaga proprio quella traiettoria, scomponendola nelle sue diverse facce: la composizione della società, i cambiamenti demografici e sociali che hanno generato una nuova realtà politica, l’esercito, le colonie. E ancora: il vacillare della democrazia negli ultimi anni; l’occupazione militare dei Territori palestinesi; il ruolo sempre più marginale del movimento per la pace.
L’aspetto demografico, da un lato, e la complessa composizione sociale, dall’altro, con la frammentazione in molteplici identità culturali, religiose, politiche, si rivelano elementi-chiave. Vengono così analizzate le diverse categorie che formano la società, a cominciare dalla minoranza araba (un quinto della popolazione – ndr), che al suo interno ha altri sottogruppi: beduini, drusi, circassi.
Della maggioranza ebraica, invece, si illustrano, con l’aiuto di esempi concreti, le divisioni di natura religiosa – o meglio fondate sul grado di religiosità – tra laici (hilonìm), tradizionalisti (masortìm), nazional-religiosi (datìm leumiìm), e ultraortodossi (haredìm, letteralmente «pii»), che vanno a sommarsi alle distinzioni tra ebrei ashkenaziti (originari dell’Europa) e mizrahìm (originari del Medio Oriente) e a quelle tra immigrati di vecchia data (ovvero che vivono in Israele da tre o più generazioni) e immigrati più recenti.
Le diverse comunità – aspetto tutt’altro che trascurabile, come puntualizzato nel libro – seguono percorsi scolastici separati, che corrono su binari paralleli. Sono infatti quattro i principali sistemi scolastici presenti in Israele: le scuole pubbliche per gli arabi, le scuole pubbliche per gli ebrei non religiosi, quelle per i nazional-religiosi e le scuole ultraortodosse, finanziate dallo Stato ma gestite privatamente.
A questi “solchi” interni se ne aggiunge poi un altro: il contrasto politico tra destra e sinistra, che, secondo Anna Momigliano, oggi si sta sempre più configurando come una profonda lacerazione che ha ormai assunto «contorni esistenziali, che riguardano la natura stessa del paese, la sua sopravvivenza».
Colpisce inoltre, in particolare, un dato: la metà degli israeliani ha meno di ventinove anni. Ciò implica che non ha mai vissuto in un Paese in pace, privo del muro di separazione con i Territori palestinesi occupati e nel quale scambi, spostamenti e occasioni di incontro con la parte palestinese – per ragioni di lavoro o, banalmente, di spesa a basso costo – erano più frequenti.
Rispetto, infine, all’esercito, viene evidenziato come, proprio perché fortemente integrato nella società, quest’ultimo cambia con essa. Il capitolo «Armati fino ai denti» approfondisce i mutamenti, le tensioni e le involuzioni, politiche e non, degli ultimi anni. Mostra anche lo stretto rapporto con il settore dell’high-tech (e le relative implicazioni) e il peso crescente esercitato in alcune unità da elementi estremisti.
«C’è un cambiamento sociologico nell’esercito, una transizione importante», spiega a un certo punto Yehuda Shaul, ex combattente e fondatore di Breaking the Silence, uno degli interlocutori intervistati a Gerusalemme nella primavera del 2024. La trasformazione in corso sta portando «da un personale legato alla vecchia scuola, laica e orientata verso il partito laburista, a un personale più orientato verso il nazionalismo religioso». Nel 1990, continua Shaul, «solo il 2,5 per cento dei cadetti ufficiali era nazional-religioso; nel 2015 era già il 40 per cento, ovvero tre volte il loro peso nella società».
In conclusione, il libro si rivela uno strumento utile e chiaro per comprendere le radici in cui affonda l’oggi e per orientarsi nelle sfaccettature del mosaico rappresentato da Israele. Lo stile agile, gli incontri di persona e i costanti rimandi interni sugli aspetti qui meno noti aiutano il lettore a immergersi nelle contraddizioni, negli estremi e nelle ferite della complessa realtà attuale.
Anna Momigliano
Fondato sulla sabbia
Un viaggio nel futuro di Israele
Garzanti, 2025
pp. 176 – 18,00 euro