Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Guerra Israele-Iran, i rischi di effetti indesiderati

Giuseppe Caffulli
17 giugno 2025
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile
Guerra Israele-Iran, i rischi di effetti indesiderati
«Israele è più fragile della casa del ragno» recitava questo manifesto beffardo affisso a Teheran nel maggio 2024. Lo slogan richiama un versetto della sura 41 del Corano. (foto Saeediex/Shutterstock.com)

Continuano le incursioni dell'aviazione israeliana nei cieli dell'Iran, dopo l'avvio di una massiccia campagna di attacchi nella notte tra il 12 e il 13 giugno. L'intento di impedire a Teheran di dotarsi di armi atomiche potrebbe però sortire l'effetto contrario.


L’attacco di Israele all’Iran, a partire dalla notte tra il 12 e il 13 giugno, contro una serie di obiettivi militari e nucleari non è certamente un fulmine a ciel sereno, ma l’ultimo anello di una catena di eventi precipitata il 7 ottobre 2023. Quel giorno, il devastante attacco di Hamas da Gaza contro Israele diede avvio a un’escalation regionale che ha progressivamente ridisegnato i rapporti di forza in Medio Oriente, logorando le difese dell’Iran e dei suoi alleati, e rafforzando, almeno sul piano militare, la posizione dello Stato ebraico.

L’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha disarticolato – se non piegato – gran parte dell’apparato militare di Hamas. Colpendo poi l’ambasciata iraniana a Damasco (l’1 aprile 2024), Israele ha provocato la prima risposta militare diretta dell’Iran, sotto forma di un’infruttuosa raffica di droni. Da quel momento, il conflitto tra i due Paesi, fino ad allora latente, è emerso apertamente sulla scena internazionale.

Con Hamas ridotto ai minimi termini, Israele ha potuto volgersi contro Hezbollah in Libano lo scorso settembre, eliminandone la leadership e l’arsenale missilistico. La successiva caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria (in dicembre) ha rappresentato un colpo durissimo per Teheran, che ha perso un alleato chiave nella regione. Le milizie filo-iraniane in Siria e Iraq sono rimaste spaesate, inermi, lasciando soli gli Houthi dello Yemen ad agire contro il «nemico sionista», senza però riuscire a infliggere danni strategici e sostanziali a Israele. Il logoramento progressivo dell’«asse della resistenza» – come viene definita la rete di milizie filoiraniane – ha messo a nudo la fragilità e la vulnerabilità (al di là della propaganda) dell’apparato difensivo iraniano, offrendo il viatico a un attacco diretto. L’operazione avviata il 13 giugno ha colpito installazioni nucleari, basi missilistiche e uomini chiave del programma nucleare iraniano. Un’azione che, fino a pochi mesi fa, sarebbe apparsa impossibile, finanche impensabile.

L’attacco israeliano si è dispiegato in un contesto diplomatico che si è dimostrato da subito piuttosto accondiscendente: Stati Uniti e Iran avevano riattivato il dialogo sul nucleare, con nuovi colloqui in agenda proprio per il weekend successivo all’attacco. Ma l’allarme lanciato il 12 giugno dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), secondo cui Teheran disporrebbe ormai di abbastanza uranio arricchito per costruire fino a nove testate nucleari, ha dato a Israele l’appiglio per intervenire in «forma preventiva».

Di fatto, e non poteva essere diversamente, l’attacco israeliano ha congelato ogni sforzo diplomatico. L’Iran ha immediatamente ritirato la propria delegazione dai colloqui previsti in questi giorni in Oman e, sebbene gli Stati Uniti abbiano negato qualsiasi coinvolgimento diretto, il ritiro anticipato dei diplomatici Usa dalla regione suggerisce che Washington fosse perlomeno a conoscenza dei piani israeliani. Di più, che non abbia fatto nulla per fermarli.

Il bilancio delle vittime sia in Israele che in Iran va crescendo, mentre continuano raid arei e lanci di missili. La risposta iraniana all’attacco israeliano potrebbe non essere immediata, ma prevedibile. E probabilmente paradossale: accelerare il programma nucleare per ottenere una forma di deterrenza più credibile. Israele ha dimostrato che può colpire il cuore del sistema difensivo e le risorse scientifiche che servono al programma nucleare iraniano senza incontrare resistenza. Ma questo dato di fatto finisce per rafforzare nel Paese degli ayatollah la posizione dei falchi che ritengono che l’unico modo per garantire la sovranità nazionale sia appunto il possesso dell’arma atomica.

L’Iran, finora, ha mantenuto un’ambiguità di fondo circa il programma di sviluppo nucleare, accrescendo competenze e accumulando materiali senza però compiere il passo definitivo verso la bomba. Una strategia utile in chiave diplomatica che ora potrebbe essere abbandonata: la deterrenza nucleare potrebbe apparire come l’unica assicurazione contro ulteriori attacchi.

Insomma, il paradosso è evidente: un attacco pensato per impedire l’arma nucleare potrebbe, nei fatti, accelerarne lo sviluppo. Se Teheran deciderà di procedere, dovrà risolvere questioni di non poco conto: costruire le testate, assemblare i vettori di lancio e decidere come «comunicare» al mondo il proprio status nucleare. Negli scorsi anni la Corea del Nord ha scelto di «comunicare» i propri progressi atomici con esperimenti che avevano i chiari contorni di un’intimidazione. Teheran potrebbe essere tentata di non «sprecare» un ordigno in un test, passando ai fatti. Con il rischio di scatenare un’escalation globale e totalmente fuori controllo.

C’è poi una dimensione regionale che non va trascurata: una rinnovata corsa agli armamenti in Medio Oriente. Se l’Iran dovesse acquisire capacità nucleari dichiarate o credibili, perché mai Arabia Saudita, Egitto e Turchia non dovrebbero fare altrettanto? C’è poi un altro spettro che aleggia: la possibilità che Israele, falliti i raid convenzionali, consideri l’opzione dell’impiego dell’arma atomica (di cui è in possesso) in chiave di disarmo preventivo.

Ecco perché l’attacco israeliano avviato il 13 giugno (che sta ottenendo per Israele anche l’effetto di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dalla tragedia di Gaza) rappresenta probabilmente un punto di non ritorno. Prima degli attacchi aerei israeliani, sembrava che Iran e Stati Uniti fossero disposti a trovare una soluzione diplomatica, una soluzione che ora è più necessaria che mai, per evitare un’escalation imprevedibile e pericolosa.

Ma ora? Se l’Iran dovesse decidere di passare dall’arricchimento dell’uranio alla costruzione dell’ordigno (per quanto sia un processo non facile e non a brevissimo termine) nessuno dei Paesi della regione, e men che meno i governi occidentali, potranno restarne fuori.

Clicca qui per ascoltare una puntata del podcast Effetti collaterali sul tema.


Ti ringraziamo per aver letto fin qui.

Se vuoi, puoi sostenere concretamente
il servizio che offriamo con Terrasanta.net

Un aiuto, anche piccolo, per noi è prezioso.

Dona ora
La saggezza dei Padri del deserto
Paola Carelli

La saggezza dei Padri del deserto

Una spiritualità per principianti in storie, aforismi e parabole
I bambini sognano la pace
GINAPA

I bambini sognano la pace

Filastrocche, racconti, lettere, disegni e... altre cose
Un musulmano di nome Gesù
Tarif Khalidi

Un musulmano di nome Gesù

Detti e storie della letteratura islamica
La fattoria magica
Michela Cattani

La fattoria magica

Una fiaba per guarire il mondo partendo dalle piccole cose