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Rula Daood: «Pacifisti perché non abbiamo altra terra che questa»

Manuela Borraccino
7 maggio 2025
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Dal 2019 è co-direttrice del movimento di base bi-nazionale Standing together. Rula Daood, 39 anni, è palestinese cristiana e cittadina israeliana. La rivista Time l'ha inclusa tra i 100 leader globali emergenti.


«La storia ci dimostra che la pace è più vicina in tempi di guerra: la mia speranza è che gli orrori in corso da quasi due anni ci abbiano fatto avvicinare ad una soluzione, poiché è chiaro che né gli ebrei né i palestinesi lasceranno questa terra». Cristiana palestinese, cittadina israeliana, femminista, Rula Daood è stata inserita nel 2024 dal periodico Time nella lista dei 100 leader emergenti globali per il lavoro che dal 2019 svolge insieme all’israeliano Alon-Lee Green nella co-direzione di Standing together, movimento progressista di base in Israele che unisce cittadini ebrei e palestinesi per la fine dell’occupazione, l’uguaglianza, la pace, la giustizia sociale e climatica.

«Questa terra è casa nostra, è tutto ciò per cui vale la pena lottare perché non abbiamo altro posto dove andare e perché vogliamo renderlo un posto migliore in cui vivere di quello che è oggi: con tutto ciò che è successo e che sta succedendo, non possiamo permetterci il lusso di mollare» ha detto in varie interviste l’attivista. Classe 1986, originaria di Kafr Yasif nel nord di Israele, logopedista, Rula è cresciuta in una famiglia palestinese cattolica e racconta di aver sperimentato fin da bambina «la condizione di cittadina di serie B» nello Stato ebraico. «I miei genitori – ha raccontato in un podcast – hanno vissuto sotto le leggi marziali e l’oppressione: mio padre ci ha sempre raccomandato di “mantenere un basso profilo”. Ebbene, da ventenne ho deciso che non mi stava più bene il basso profilo: sentivo il bisogno di alzarmi in piedi e lottare per cambiare quello che ritenevo ingiusto». Così ha iniziato a frequentare circoli politici di sinistra e arabi, senza riuscire però a trovare un partito che la rappresentasse, anche per la progressiva scomparsa della sinistra e del fronte pacifista in Israele.

Nel 2017 si è unita al movimento fondato due anni prima da Alon-Lee Green, già tra i portavoce delle proteste del 2011 contro il carovita in Israele, e nel 2019 ne ha assunto la condirezione. Tre anni dopo è stata insignita insieme a Green del Premio Gallanter per la società civile per aver organizzato decine di eventi e iniziative di cooperazione fra ebrei e arabi nel nord di Israele e a Lod, dove vive.

«Dopo così tanti decenni di occupazione e dopo il 7 ottobre [2023] – osserva – quasi più nessuno parla di coesistenza fra israeliani e palestinesi: per questo è così importante utilizzare un linguaggio diverso, parlare pubblicamente di cessate il fuoco, di pace, di riconciliazione possibile, di potenziali governi diversi da quello espresso da Bibi Netanyahu: noi sappiamo che così facendo forniamo alle persone delle prospettive diverse».

Standing together è tra le organizzazioni più attive nel contrasto alle ideologie di estrema destra in Israele, con forti prese di posizione, anche durante eventi pubblici, contro la retorica e la violenza anti-palestinese portata avanti da altri gruppi. «Il nostro compito fondamentale è quello di mobilitare le persone e il fatto che il nostro movimento stia crescendo mi dà tanta speranza: riteniamo di meritare un futuro di gran lunga migliore, israeliani e palestinesi, di quello che la classe dirigente al potere negli ultimi vent’anni ci ha procurato», rimarca Daood.

L’organizzazione fa molto affidamento sul sostegno della comunità che la compone (con oltre il 50 per cento dei finanziamenti provenienti da piccole donazioni di singoli), al fine di mantenere l’indipendenza e concentrarsi sulla propria mission. Dopo il 7 ottobre il movimento ha continuato a crescere e nel dicembre 2024 contava più di 6.000 membri, due terzi dei quali sostengono mensilmente gli sforzi dell’organizzazione. Circa un quinto dei soci sono palestinesi, in linea con la percentuale di popolazione araba in Israele, ed il comitato direttivo è formato da arabi ed ebrei in uguali proporzioni.

«Dobbiamo esprimere una prospettiva e un’offerta politica alternative rispetto a quello che stiamo vivendo: rispondere in modo diverso ai bisogni di israeliani e palestinesi. Quali prospettive vengono offerte oggi? C’è forse bisogno di offrire alle persone più guerra, più uccisioni? O cerchiamo di offrire a chi vive su questa terra sicurezza, benessere, pace e – perché no? – indipendenza?». Il movimento cerca di creare un fronte collaborativo fra diversi gruppi, sostenendo un futuro condiviso in cui entrambe le comunità possano coesistere con dignità e pari diritti, ed enfatizza l’unità fra varie identità, tra cui laici e religiosi, mizrahi e askenaziti e persone di tutti i generi e orientamenti sessuali. Una diversità che è considerata essenziale per costruire una forte coalizione per il cambiamento.

«Ci sono oggi molte più persone disposte a fermare questa guerra e ad abbracciare una visione politica diversa. Può anche darsi che non siamo ancora la maggioranza, ma non siamo neppure una sparuta minoranza e ci stiamo battendo per un futuro diverso malgrado la situazione politica che attraversiamo». Diversi attivisti del movimento, compreso il condirettore Green, sono stati arrestati durante le manifestazioni che si susseguono a Tel Aviv. E una sfida ulteriore è stata l’inclusione di Standing together nella lista nera stilata dagli attivisti della campagna Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni (Bds) perché l’organizzazione guidata da Daood perseguirebbe la «normalizzazione» dei rapporti con gli ebrei israeliani.

Insieme a May Pundak, direttrice di A land for all, e a Nivine Sandouka, condirettrice palestinese dell’associazione-ombrello Alliance for Middle East Peace (AllMep, che raduna 170 organizzazioni non governative che lavorano per la riconciliazione tra arabi ed ebrei in Medio Oriente), Rula Daood ha partecipato al cortometraggio For the Future: Women in Peacebuilding (visionabile cliccando qui), pubblicato un mese fa sulla piattaforma Vimeo. Il prossimo 31 ottobre 2025 verrà infatti celebrato il 25esimo anniversario dall’approvazione da parte dell’Assemblea dell’Onu della Risoluzione Onu 1325 su Donne, pace e sicurezza, che chiedeva fra l’altro un maggior coinvolgimento di negoziatrici nei colloqui di pace, pari ad almeno il 30 per cento dei membri dei team negoziali: richiesta rimasta lettera morta in quasi tutti i processi di pace mediati dall’Onu.

«La sfera pubblica resta certamente un ambito estremamente sfidante per una donna – chiosa Daood – tanto più nel contesto del conflitto israelo-palestinese: eppure il prezzo dell’assenza delle donne dalla politica e dai team negoziali è sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo raccogliere questa sfida perché non possiamo permetterci il lusso di farci da parte o disinteressarci. Nei primi mesi di guerra molte di noi hanno subito insulti e minacce sessiste di ogni tipo, compreso l’aberrante auspicio di venire violentate: non c’è ancora abbastanza solidarietà tra donne contro il linguaggio dell’odio, ma le cose stanno cambiando».

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