Il regno hashemita, che nel contesto mediorientale si regge su equilibri sempre fragili, ha voluto contemporaneamente mettere all’angolo il movimento islamista, senza però toccare la sua rappresentanza parlamentare, che oggi ha la maggioranza relativa.
Un colpo al cerchio e uno alla botte. Il ministero dell’Interno della Giordania, il 23 aprile scorso, ha ufficialmente messo al bando le attività dei Fratelli musulmani nel regno hashemita, dichiarando illegale sia l’appartenenza all’organizzazione sia la promozione della sua ideologia. Subito dopo il provvedimento, gli uomini dei servizi di sicurezza hanno fatto irruzione in alcune sedi dell’organizzazione. Ma il Fronte d’azione islamica, l’ala politica dei Fratelli musulmani (rappresentata in parlamento e uscita rafforzata dalle elezioni del settembre 2024, nelle quali ha ottenuto 31 seggi su 138), non è stato toccato dai provvedimenti. L’idea è dunque quella di ridimensionare il peso e l’influenza dei Fratelli musulmani, cresciuta a dismisura tra la popolazione indignata a causa della guerra di Israele a Gaza, senza però mettere in dubbio la legittimità della rappresentanza dei parlamentari eletti nelle fila del Fronte. Una mossa pensata con grande attenzione, dato che il regno di Abdallah II è immerso in un difficilissimo contesto regionale.
La decisione di mettere fuori legge i Fratelli musulmani è arrivata dopo che il governo ha detto di aver sventato un presunto complotto che minacciava la sicurezza nazionale. In diverse confessioni trasmesse dalla televisione pubblica, alcuni degli accusati affermavano di essere stati reclutati da una cellula operante dal Libano. Lo scopo era attaccare obiettivi «sensibili» in Giordania.
Non è certo la prima volta che organizzazioni jihadiste attentano a figure o istituzioni in Giordania. Nel 2000, per esempio, venne sventato un complotto ai danni della famiglia reale orchestrato da Abu Musab al-Zarqawi, già membro di al-Qaida e fondatore del nucleo che darà vita allo Stato islamico (Isis).
Tuttavia, fanno notare gli analisti, i Fratelli musulmani in Giordania hanno finora sempre agito come un’opposizione leale piuttosto che come forza rivoluzionaria, rifiutando la violenza e lavorando all’interno delle istituzioni politiche. Addirittura, in passato, la monarchia aveva scelto di tenersi vicino i Fratelli musulmani, cooptandoli all’interno di alcune istituzioni, piuttosto che eliminarli. Ricordiamo che l’organizzazione, attraverso enti di beneficenza, associazioni professionali e servizi sociali, ha radici profonde nella società civile giordana. Alcune prese di posizione scomode al potere avevano già indotto in passato il governo a limitarne la capacità di azione politica. Per esempio, nel 2016, le autorità avevano chiuso la sede centrale del movimento.
Il successo del Fronte d’azione islamica nelle elezioni di settembre ha destato non poche preoccupazione tra funzionari governativi e servizi di sicurezza. È risultato chiaro che l’opinione pubblica non solo era solidale con i palestinesi a Gaza, ma anche molto affascinata dai Fratelli musulmani e, mutatis mutandis, da Hamas. Dopo gli eventi del 7 ottobre 2023, alcuni esponenti dei Fratelli musulmani giordani non avevano fatto mistero delle loro posizioni pro-Hamas. Il «piano» di Donald Trump di svuotare Gaza e trasferire i suoi oltre 2 milioni di abitanti in Egitto e Giordania è, di fatto, una minaccia esistenziale per il regno hashemita. E ha fatto crescere il sentimento pro-Hamas e filopalestinese in Giordania, dove già una buona parte della popolazione è appunto di origine palestinese, riparata in Transgiordania dopo la Nakba del 1948 e le successive guerre regionali.
Il presunto attacco sventato lo scorso mese sembra aver offerto al governo l’opportunità di chiudere definitivamente con i Fratelli musulmani, ma allo stesso tempo di blandire i partner occidentali e soprattutto gli Usa. Fin dai primi giorni del suo insediamento, Trump aveva messo in discussione gli aiuti finanziari degli Stati Uniti alla Giordania (che vive in larga parte del sostegno americano). Volato a Washington, re Abdallah aveva ottenuto rassicurazioni sul fatto che la maggior parte del pacchetto annuale di aiuti (1,45 miliardi di dollari, compresa l’assistenza militare), resterà intatto.
Non potendosi permettere di infastidire il partner d’oltreoceano, rischiando di compromettere così la stabilità e la sicurezza del Paese, il governo di Amman sembra aver ha scelto di dare un segnale forte sul versante della lotta al terrorismo. Ma la mossa evidenzia anche il crescente disagio del regno nei confronti di qualsiasi forma di organizzazione islamista. Inutile dire che la decisione del governo giordano è stata certamente ben vista anche dai principali alleati del Golfo, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che storicamente considerano i Fratelli musulmani una minaccia.