L'inquilino della Casa Bianca è giunto oggi in Arabia Sudita, e poi si recherà in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti, per concludere nuovi accordi di cooperazione economica tra il suo Paese e le petromonarchie. Ma altri temi di ordine geopolitico non potranno restare ai margini.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è arrivato stamattina a Riyadh, in Arabia Saudita, prima tappa di un viaggio di quattro giorni che comprende visite in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti. Il viaggio, il primo all’estero da quando Trump è tornato alla Casa Bianca nel gennaio scorso, sembra orientato principalmente a stimolare accordi commerciali e nuovi investimenti da parte degli emiri e dei sovrani del Golfo. La visita nel Golfo ricalca grossomodo il programma del 2017, tour che diede il la ai cosiddetti Accordi di Abramo. Anche se stavolta, inevitabilmente, gli incontri non potranno trascurare temi strategici, economici e di difesa, l’obiettivo centrale resta quello di tornare negli Stati Uniti con nuovi accordi miliardari da sventolare eventualmente sui social. Il presidente Usa punta a stringere accordi per un valore superiore a mille miliardi di dollari.
Tuttavia, una novità va segnalata. Mai prima d’ora un presidente americano aveva visitato gli alleati arabi senza prevedere una puntata in Israele. Cosa è cambiato? Il contesto regionale anzitutto, e profondamente. Il conflitto a Gaza, per l’opinione pubblica dei Paesi del Golfo, come del resto del mondo musulmano, ha cambiato non poco la percezione del capo della Casa Bianca. Alla vigilia dell’annunciata reinvasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano, c’è il rischio che la visita di Trump (con il suo avvallo alla strategia di Netanyahu nella lotta a Hamas, costata decine di migliaia di morti), faccia apparire complici o conniventi anche le monarchie del Golfo. Una tappa dalle parti di Tel Aviv avrebbe probabilmente accesso ulteriormente gli animi.
D’altra parte, mentre la situazione umanitaria nella Striscia peggiora sempre di più a causa del blocco israeliano sugli aiuti e mentre in Cisgiordania è drammaticamente deteriorata. Resta da vedere quali risultati potranno scaturire in seguito agli incontri di Trump nelle tre capitali del Golfo.
Finora il bilancio dell’attenzione al Medio Oriente da parte di Trump è piuttosto contraddittorio. Sul dossier iraniano, ha rilanciato la strategia di «massima pressione» avviando colloqui ad alto livello per fermare le ambizioni nucleari di Teheran e favorire una normalizzazione dei rapporti nella regione. Si tratta di un processo, però, completamente aperto e del quale si faticano a intuire gli sviluppi.
Sul fronte Yemen, Trump può rivendicare una parziale vittoria: dopo intensi bombardamenti, gli Houthi hanno promesso di sospendere gli attacchi contro le navi statunitensi. Tuttavia, le minacce verso Israele restano aperte (vedi il missile piovuto nei pressi dell’aeroporto Ben Gurion il 4 maggio scorso), come pure le conseguenti rappresaglie. Ancor meno definita la situazione in Siria, dove Trump non ha ancora assunto una linea chiara. Il tema sarà centrale nei colloqui con i leader del Golfo e con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, con i quale sembra prossimo un incontro alla Casa Bianca.
Infine, in Libano, qualche successo è stato ottenuto con il cessate il fuoco (sempre in bilico) tra Israele e Hezbollah e un sostegno all’esercito libanese nel sud del Paese. Restano però nodi da sciogliere, in primis il ritiro israeliano da cinque avamposti in territorio libanese e il disarmo delle milizie di Hezbollah.
Per usare un eufemismo, la politica mediorientale di Trump – ad oggi – è un cantiere aperto. Una ripresa del percorso di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele (già previsto dagli Accordi di Abramo) e un accordo con l’Iran potrebbero certamente portare risultati concreti in una regione frammentata e instabile.
Per ora Donald Trump è nel Golfo Persico per rinsaldare l’alleanza con le petro-monarchie a partire dal business (investimenti in tecnologia per la sicurezza e intelligenza artificiale). Vedremo se questo tour avrà ricadute anche in termini di pace o sarà un altro capitolo di occasioni mancate.