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Il canto dell’amore maturo

fra Stefano Tondelli ofm
30 aprile 2025
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Il canto dell’amore maturo
Piero Casentini, Predica agli uccelli (2002, dettaglio), Curia vescovile di Albano Laziale (Roma)

San Francesco, come tutti noi, è un uomo alla ricerca della felicità vera. In questa ricerca si è scontrato con due ostacoli che ha dovuto affrontare e superare: l’illusione e la delusione. Il Cantico fa unità di quelle esperienze.


Il Cantico delle Creature è la composizione della maturità di Francesco, che nella sua vita ha saputo ricondurre tutto all’unità, cioè ha saputo accogliere la realtà, la propria esistenza, i fratelli, non solo prendendone gli aspetti positivi ma anche accettandone i limiti e le spigolosità. Ciò è avvenuto dopo che, nella ricerca della felicità vera, aveva dovuto affrontare illusione e delusione.

Troppo spesso nella vita, in noi e negli altri, cerchiamo solo ciò che è bello e ci fa stare bene. Ma cosa fare quando l’incontro con l’altro è anche l’incontro con la sua debolezza e fragilità, con il suo peccato che ci ferisce? Cosa fare quando l’esperienza di sé stessi è accorgersi del proprio egoismo e della propria incapacità di amare? Con tutto questo ha dovuto confrontarsi il giovane Francesco: con il proprio grande desiderio di Dio ma anche con la propria piccola risposta d’amore; con il grande desiderio di creare una fraternità, ma anche con il constatare individualismi e rivalità.

Alla fine, come non rimanere prigionieri della delusione, arrivando a vivere costantemente nel lamento e a disprezzare sé stessi, gli altri e la vita? Troviamo la risposta proprio nel Cantico delle Creature.

Leggendo le lodi a Dio per le creature, si nota uno sguardo positivo su tutto, dove le creature sono tutte belle: il sole illumina con grande splendore, le stagioni danno sostentamento all’uomo, la visione del fuoco che illumina la notte è una visione giocosa e gioiosa, e infine la terra produce con abbondanza cibo e bellissimi fiori.

Questo elenco ci appare poetico all’inizio, ma può anche dare fastidio: è come se Francesco dimenticasse che il creato così bello può essere però anche molto duro e ostile. Ne uscirebbe così un’immagine di un Francesco tra le nuvole, che non conosce o sottovaluta le difficoltà della vita.

Al contrario questo sguardo non è assolutamente uno sguardo ingenuo, giovanile, illusorio. Anzi è proprio lo sguardo di un uomo maturo, che di quelle creature ha visto anche l’aspetto più crudo e duro. Non dimentichiamo che quel sole lodato da Francesco è quello stesso sole che gli ferisce gli occhi a causa di una malattia che lo rende quasi cieco e ipersensibile alla luce; non dimentichiamo che quel vento e quel «onne tempo» sono anche quelli che l’hanno sferzato nelle gelide giornate invernali, facendo soffrire Francesco e i suoi fratelli, al freddo e al gelo; Francesco sa benissimo che quel fuoco e quell’acqua possono anche distruggere con una violenza inaudita, e che quella «madre» terra può deludere e non dare i frutti e il sostentamento sperati.

Il Cantico delle Creature nasce così non per dirci che esiste solo il bene, ma per ricordarci in ogni momento che non esiste solo il male.

Come godiamo quotidianamente dei doni del creato e del bene degli altri, così dobbiamo anche imparare a portare le loro fragilità: sarebbe profondamente sleale prendere le cose belle degli altri e gettarli via, invece, quando si tratta di accoglierli nella loro debolezza e nel loro essere peccatori.

Troviamo qui lo sforzo di Francesco di non fissarsi sul male delle persone, di non diventare un «lamentone» che sa solo vedere il negativo della vita, ma di recuperare uno sguardo di apprezzamento e stupore sugli altri e sul creato, anche dopo esserne stato ferito.

Questo è il vero dono del Cantico.

Lo sguardo di san Francesco è quello dell’amore maturo, che ci permette di camminare nella vita superando le delusioni e rimanendo capaci di amare e di non perdere di vista la bellezza intorno a noi.

Quest’opera nasce per riconciliarci con la realtà recuperandone la bellezza e la positività anche dopo averne sperimentato le ferite e la durezza. Ci vuole dare la gioia vera, quella che ha affrontato la delusione e l’ha superata.

La vera gioia e la vera bellezza per Francesco non stanno nel non essere mai feriti e nel non subire mai il male, ma nel saper vivere tutto alla luce del Vangelo dove il male nelle relazioni fraterne è vinto dal perdono, dove il creato è comunque bellissimo, anche se talvolta ci ferisce, e dove la morte diventa porta per la vita eterna.

Perché il vero miracolo, la vera bellezza della vita, non è non ricevere mai del male dal fratello ma il saper conservare nel cuore la bellezza del fratello anche dopo averne provato la fragilità… così come la vera bellezza della vita non è non morire mai, ma morire amando, saper morire per amore di Dio e dei fratelli.

L’autore è commissario di Terra Santa per Assisi e l’Umbria

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