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Al prossimo Festival di Cannes la storia di una reporter di Gaza uccisa dalle bombe israeliane

Elisa Pinna
29 aprile 2025
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È la protagonista di un documentario presentato dalla regista iraniana Sepideh Farsi al prossimo Festival di Cannes. Fatma Hassouna aveva 25 anni e documentava con le sue foto la distruzione di Gaza. In maggio a Cannes non ci sarà. È morta il 16 aprile.


Fatma Hassouna aveva 25 anni e documentava con le sue foto la distruzione di Gaza, attraverso i canali social. Era, ed è, anche la protagonista di un documentario presentato dalla regista iraniana Sepideh Farsi al prossimo Festival di Cannes tra le opere selezionate dall’Associazione del cinema indipendente per la sua diffusione (Association du cinéma indépendant pour sa diffusion – Acid), creata da un gruppo di cineasti nel 1992. L’annuncio dell’inclusione dell’opera nella rassegna Acid Cannes 2025 è giunto lo scorso 15 aprile. Nemmeno 24 ore più tardi, l’esercito israeliano ha sparato un missile contro la casa dove Fatma viveva, uccidendo la reporter e almeno altri 9 suoi familiari.

La regista Sepideh Farsi, che era entrata in contatto video telefonico con la giovane fotoreporter attraverso profughi gazesi rifugiati al Cairo, l’ha ricordata, in un’intervista all’emittente francese France24 come una persona solare, forte, resistente, ottimista, benché le sue foto mostrassero panorami di macerie e di bambini dai visi segnati dallo spavento e dalla fame.

Fatma, entusiasta per la notizia della selezione a Cannes, le aveva promesso che – se invitata – avrebbe accettato di essere presente al festival, solo a condizione di poter rientrare il giorno dopo a Gaza. Nel documentario Put your soul in your hands and walk, («Metti la tua anima nelle tue mani e cammina»), la regista iraniana in esilio a Parigi racconta la vita e il lavoro di Fatma nei 200 giorni successivi al loro primo incontro video, avvenuto nell’aprile 2024.

L’uccisione di Fatma ha fatto notizia in Francia per la connessione con il Festival di Cannes. Non è però certo un evento straordinario nella guerra di Israele contro Gaza, ormai apertamente mirata, oltre ad eliminare ciò che resta di Hamas, a colpire, terrorizzare, e mettere a rischio, con il totale blocco degli aiuti umanitari, la sopravvivenza della popolazione.

Proprio ad inizio di aprile la statunitense Brown University ha pubblicato un rapporto, redatto dal Watson Institute For International and Public Affairs, sulla politica israeliana di silenziare i giornalisti locali, riducendo coì al minimo le notizie e le immagini verso l’esterno di ciò che sta accadendo nella Striscia.

A Gaza, dal 7 ottobre 2023 al 29 marzo 2025, la somma degli operatori dell’informazione palestinesi uccisi da Israele, 238, supera il totale dei giornalisti vittime nell’insieme delle due guerre mondiali della prima metà del secolo scorso e di tanti altri conflitti che si sono succeduti da allora ad oggi (guerre di Corea, del Vietnam, di Cambogia e del Laos, di Jugoslavia, di Afghanistan). Solo la guerra in Iraq – con i suoi strascichi – oltrepassa, per il momento, la carneficina di Gaza: i giornalisti uccisi sono 285, ma in un arco di tempo che va dal 13 marzo 2003 al 26 marzo 2025. In pratica – osserva l’istituto statunitense – in Iraq vi è stata una media di 13 giornalisti uccisi ogni anno, mentre nella Striscia la media è di 13 giornalisti al mese.

Israele ha impedito a tutte le testate straniere di mandare i propri inviati sul campo. I reporter palestinesi sono stati lasciati soli. Il rapporto della Brown University, citando fonti delle ong locali, afferma che 35 di loro sono stati sicuramente eliminati in attacchi mirati. Per gli altri, non ci sono prove evidenti ma forti sospetti, anche se i bombardamenti sui civili sono stati talmente estesi che una parte dei giornalisti potrebbe aver perso la vita insieme alle decine di migliaia di morti innocenti.

Il rapporto dell’ateneo statunitense si ferma al 29 marzo 2025. Fatma è stata uccisa nei giorni successivi. La sua morte finirà in altri, nuovi, bilanci. Su di lei, piange, a telecamere accese, la regista iraniana Sepideh Farsi, che si interroga con angoscia sul suo tentativo di dare voce e notorietà al lavoro dei giornalisti gazesi, inviando la storia di Fatma al Festival di Cannes.

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