Si è conclusa quest’oggi, 21 aprile 2025, Lunedì dell’Angelo, la vicenda terrena di papa Francesco, il primo pontefice della Chiesa cattolica venuto dalle Americhe. Si apre per lui, morto questa mattina alle 7.35 nella Domus Sanctae Marthae in Vaticano, un altro capitolo della sua vita in Cristo, redentore e risorto.
La Chiesa intera e innumerevoli uomini e donne di tutto il pianeta, in questo frangente, rendono omaggio a Jorge Mario Bergoglio, nato a Buenos Aires – in una famiglia di emigrati italiani in Argentina – il 17 dicembre 1936 ed eletto vescovo di Roma e papa 12 anni fa, il 13 marzo 2013.
Molte cose sono già state dette e scritte, ovunque, sul suo pontificato. Tante altre parole, più o meno ponderate, seguiranno.
A caldo, vogliamo qui ricordarlo come uomo di pace, fiero e convinto contestatore di ogni guerra, in continuità con il magistero dei suoi predecessori sulla Cattedra di Pietro nell’arco del Novecento e del secolo presente. Tutti abbiamo negli orecchi i suoi incessanti appelli per la cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza, in Ucraina, in Myanmar… L’ultimo proprio ieri, Domenica di Pasqua, prima della benedizione alla città di Roma e al mondo dalla loggia centrale della basilica di San Pietro.
Lo stesso testamento del Papa, reso noto nella serata del 21 aprile e datato 29 giugno 2022, si conclude con il desiderio della pace: «Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene e continueranno a pregare per me. La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’ho offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli».
Anche nel pellegrinaggio in Terra Santa dal 24 al 26 maggio 2014, uno dei suoi primi viaggi papali oltre i confini dell’Italia, il tema della pace fu molto presente. E non poteva essere altrimenti in una regione che ha così estremo bisogno di intraprendere percorsi nuovi, all’insegna del mutuo rispetto.
Torniamo con la memoria ad alcuni passaggi dei suoi discorsi di allora.
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«Il Medio Oriente da decenni vive le drammatiche conseguenze del protrarsi di un conflitto che ha prodotto tante ferite difficili da rimarginare e, anche quando fortunatamente non divampa la violenza, l’incertezza della situazione e l’incomprensione tra le parti producono insicurezza, diritti negati, isolamento ed esodo di intere comunità, divisioni, carenze e sofferenze di ogni tipo».

Una sosta silenziosa e fuori programma al muro di separazione israeliano che cinge Betlemme. (foto Nour Shamaly/Flash90)
«Nel manifestare la mia vicinanza a quanti soffrono maggiormente le conseguenze di tale conflitto, vorrei dire dal profondo del mio cuore che è ora di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti. Si raddoppino dunque gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza. È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti».
«Auspico vivamente che a tal fine si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo e che non ci si stanchi di perseguire la pace con determinazione e coerenza. La pace porterà con sé innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero. Occorre dunque incamminarsi risolutamente verso di essa, anche rinunciando ognuno a qualche cosa».
(Dal discorso alle autorità palestinesi – Betlemme, 25 maggio 2014)
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«Il Bambino Gesù, nato a Betlemme, è il segno dato da Dio a chi attendeva la salvezza, e rimane per sempre il segno della tenerezza di Dio e della sua presenza nel mondo. L’angelo dice ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino…”».
«Anche oggi i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano».
«Dio oggi ripete anche a noi, uomini e donne del XXI secolo: “Questo per voi il segno”, cercate il bambino… Il Bambino di Betlemme è fragile, come tutti i neonati. Non sa parlare, eppure è la Parola che si è fatta carne, venuta a cambiare il cuore e la vita degli uomini. Quel Bambino, come ogni bambino, è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto. Anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno».
«Purtroppo, in questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino».

Celebrando la Messa davanti alla basilica della Natività a Betlemme. (foto Sliman Khader/Flash90)
«E ci domandiamo: chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti ai bambini di oggi? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di “perdere tempo” con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro? O li trascuriamo, per occuparci dei nostri interessi?»
(Dall’omelia durante la Messa in piazza della Mangiatoia a Betlemme, 25 maggio 2014)
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«Sulle orme dei miei Predecessori sono giunto come pellegrino in Terra Santa, dove si è dispiegata una storia plurimillenaria e sono accaduti i principali eventi legati alla nascita e allo sviluppo delle tre grandi religioni monoteiste, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam; perciò essa è punto di riferimento spirituale per tanta parte dell’umanità. Auspico dunque che questa Terra benedetta sia un luogo in cui non vi sia alcuno spazio per chi, strumentalizzando ed esasperando il valore della propria appartenenza religiosa, diventa intollerante e violento verso quella altrui».

Al muro del Pianto, ciò che rimane del muraglione occidentale del tempio ebraico di Gerusalemme. (foto CTS)
«Durante questo mio pellegrinaggio in Terra Santa visiterò alcuni luoghi tra i più significativi di Gerusalemme, città di valore universale. Gerusalemme significa “città della pace”. Così la vuole Dio e così desiderano che sia tutti gli uomini di buona volontà. Ma purtroppo questa città è ancora tormentata dalle conseguenze di lunghi conflitti. Tutti noi sappiamo quanto sia urgente la necessità della pace, non solo per Israele, ma anche per tutta la regione. Si moltiplichino perciò gli sforzi e le energie allo scopo di giungere ad una composizione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità a non lasciare nulla di intentato per la ricerca di soluzioni eque alle complesse difficoltà, così che Israeliani e Palestinesi possano vivere in pace. Bisogna intraprendere sempre con coraggio e senza stancarsi la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Non ce n’è un’altra. Pertanto rinnovo l’appello che da questo luogo rivolse Benedetto XVI: sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno».
«Un momento particolarmente toccante del mio soggiorno nel vostro Paese sarà la visita al Memoriale di Yad Vashem, a ricordo dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah, tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa. Prego Dio che non accada mai più un tale crimine, di cui sono state vittime in primo luogo ebrei e anche tanti cristiani e altri. Sempre memori del passato, promuoviamo un’educazione in cui l’esclusione e lo scontro lascino il posto all’inclusione e all’incontro, dove non ci sia posto per l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli».
(Durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gurion – Tel Aviv, 25 maggio 2014)

Papa Francesco in una foto del novembre 2023 nella sala delle udienze Paolo VI in Vaticano. (foto Alessia Pierdomenico/Shutterstock.com)
Ultimo aggiornamento: 21/04/2025 20:26