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Il mercato nero dell’emigrazione iraniana

Elisa Pinna
13 settembre 2024
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Negli ultimi cinque anni sono sempre più numerosi i cittadini iraniani che desiderano lasciare il loro Paese. Si parla ormai di un fenomeno di massa che ha dato vita a un fiorente mercato nero di visti, false offerte di lavoro all'estero e così via.


Le persone che vogliono emigrare dall’Iran sono talmente tante, negli ultimi cinque anni, da aver generato un mercato redditizio per agenzie di intermediari, avvocati, faccendieri di ogni tipo, funzionari corrotti.

Il sito indipendente di notizie Fararu, che trasmette legalmente in farsi all’interno della Repubblica islamica, parla di una vasta economia nera difficilmente quantificabile, dedicata ad oliare gli ingranaggi e a rendere più facili le cose per chi vuole lasciare il Paese. Si tratta di una realtà labirintica: ogni tappa della complessa procedura burocratica per uscire dall’Iran ha un proprio business dedicato. I cittadini iraniani possono spostarsi liberamente solo in Turchia, per turismo o affari. Per tutti gli altri Paesi è richiesto loro un visto o un’autorizzazione speciale. Sono spuntate così come funghi piccole imprese che, essenzialmente su internet, offrono i loro servizi: chi è specializzato nel procurare un certificato Ielts, l’attestato di conoscenza della lingua inglese richiesto per accedere agli studi accademici specie nel mondo anglofono; chi riesce ad ottenere per i propri clienti visti turistici; chi false offerte di lavoro all’estero.

Ibrahim – uno dei cittadini desiderosi di partire – racconta a Fararu che, dopo sette anni di fughe fallite, ha deciso di affidarsi a un canale clandestino di intermediazione che gli ha fornito una falsa documentazione accademica per fare domanda di specializzazione universitaria in Gran Bretagna. Tutto è avvenuto al di fuori del suo controllo. Gli intermediari gli hanno fissato un appuntamento nell’ambasciata di un paese di passaggio e gli hanno consegnato il «suo» curriculum di studi da imparare a memoria. Se otterrà il visto, dovrà pagare 12.500 euro, da dividere su diversi conti bancari all’estero. «Non cercare di fare il furbo, perché sappiamo come impedirti di partire», lo hanno avvertito. Ibrahim, una volta in Gran Bretagna, chiederà asilo politico.

Farhida, attraverso un amico che si è messo nel business clandestino dell’emigrazione, ha ricevuto un’offerta fittizia di lavoro da un imprenditore in Germania, riuscendo ad ottenere così un permesso lavorativo all’estero di sei mesi, rinnovabile. Ha sborsato, ad un prezzo di favore, 15 mila euro finiti per lo più nelle tasche del compiacente dirigente d’azienda. In Germania, ha raccontato la donna a Fararu, «ti devi pagare tutto – tasse, assicurazione ecc. – anche se si tratta di un impiego inesistente. Nel frattempo ti devi trovare un lavoro vero. Io non ci sono riuscita e dopo sei mesi sono dovuta tornare in Iran». Il costo di una falsa offerta di lavoro varia a seconda del Paese di destinazione: in media si va dai 30-40 mila euro fino agli 80-90 mila per il Canada, meta particolarmente ambita. A prestarsi a questa operazione, specie in Europa, sono piccole aziende di persone originarie della Turchia, dell’Iran, dei Paesi dell’est europeo, a quanto riferisce Fararu.

Un altro commercio lucroso è quello degli appuntamenti con le ambasciate straniere a Teheran. Per avviare la pratica di emigrazione o per un visto, un cittadino iraniano deve innanzitutto chiedere un colloquio nella sede diplomatica del Paese scelto. Per ottenere un appuntamento ci vogliono mesi, se non anni. Con 200 euro è possibile però saltare la fila e si tratta -scrive Fararu – di una pratica molto comune.

Nell’economia sommersa dell’emigrazione – spiega ancora il sito – i diversi soggetti «fanno spesso squadra» con una rete di corruzioni e complicità transnazionali.

Tutto ciò si basa sul fatto che l’Iran sta attraversando una fase di «emigrazione di massa incontrollata», secondo quanto attesta l’Osservatorio iraniano delle migrazioni (Iran migration observatory – Imo) di Teheran. Ogni anno lasciano l’Iran centinaia di migliaia di persone. Un’emorragia che si è accentuata nell’ultimo quinquennio – soprattutto per la sofferenza economica dovuta alle sanzioni internazionali – e che nulla sembra essere in grado di fermare. Anche il flebile spiraglio di speranza apertosi con l’elezione di un presidente riformista, Masoud Pezeshkian, si è subito spento e l’Imo prevede, di trimestre in trimestre, scenari sempre più pessimistici.

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