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Le nazioni islamiche davanti al grattacapo talebano

Fulvio Scaglione
11 gennaio 2023
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Si definisce «la voce collettiva del mondo islamico» e ha un certo peso. L’Organizzazione per la cooperazione islamica (57 Stati membri) prende le distanze dai talebani quando decidono di tagliar fuori le donne afghane dalle università e dal lavoro nelle ong straniere.


Con i suoi 57 Stati membri in quattro continenti, l’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic), fondata nel settembre 1969 a Rabat in Marocco, ha qualche ragione per definirsi «la seconda più vasta organizzazione dopo le Nazioni Unite» e «la voce collettiva del mondo islamico». È quindi interessante che, pur tra mille cautele diplomatiche, abbia preso immediatamente posizione contro i decreti (definiti «sconcertanti») con cui i talebani hanno escluso le ragazze dalle università e hanno vietato alle donne il lavoro presso le ong straniere che operano in Afghanistan. Di più: proprio in questi giorni l’Oic si raduna per discuterne, e sarà la terza volta che si occupa dell’Afghanistan da quando i talebani sono ritornati al potere nell’agosto del 2021.

Insomma: per quanto citino questa o quella autorità islamica a conforto del proprio operato, i talebani stanno diventando un problema per decine e decine di altri Paesi islamici. In questa presa di distanza c’è una certa quota di autoconservazione, perché gli spiriti del radicalismo islamista sono presenti, anche se minoritari, in diversi dei 57 Paesi dell’Oic, e il cattivo esempio talebano non deve trovare troppo spazio. In più, l’Organizzazione della cooperazione islamica non è l’Unione europea, non ha poteri sopranazionali per decidere e implementare provvedimenti che invece, quando pure vengono presi (e non è questo il caso), sono del tutto affidati all’adesione volontaria degli Stati membri.

Nello stesso tempo, però, i talebani non possono ignorare le sue prese di posizione. Se non altro perché l’Oic è una delle non moltissime organizzazioni ancora presenti in Afghanistan, tanto che ha da poco aperto una nuova sede a Kabul. E soprattutto perché, con i fondi messi a disposizione dai Paesi aderenti, ha costituito un ricco fondo per l’aiuto umanitario al Paese, che intende amministrare con una certa oculatezza e, soprattutto, con molta indipendenza. Lo dimostra la stizzita dichiarazione di Abdul Qahar Balkhi, portavoce del ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi, che ha chiesto ai rappresentanti dell’Oic di «incontrare i rappresentanti ufficiali dell’Emirato Islamico per comprendere meglio la situazione… Questo poterà l’Oic a prendere decisioni informate per quanto riguarda l’Afghanistan, anziché basarsi su informazioni esterne». Insomma, è un po’ come dire: «Vi diciamo noi dove mettere i soldi». Cosa che l’Oic non sembra disposta ad accettare.

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