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120mila armeni nella sacca dell’Artsakh

Elisa Pinna
23 gennaio 2023
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Dallo scorso dicembre centinaia di sedicenti ambientalisti azeri presidiano, bloccandola, l'unica strada che collega all'Armenia l'enclave dell'Artsakh, in Nagorno Karabakh. Nella città di Stepanakert gravi i disagi per la popolazione. Il conflitto armeno-azero rischia di riesplodere con violenza.


Dal 12 dicembre 2022, circa 120mila armeni si trovano intrappolati nella regione caucasica dell’Artsakh, un pezzetto di Nagorno Karabakh rimasto sotto il controllo del governo di Yerevan e non riconquistato dall’Azerbaigian durante la guerra vittoriosa del 2020. L’unica strada di collegamento tra l’enclave e il resto dell’Armenia è bloccata da centinaia di sedicenti ambientalisti azeri che protestano, giorno e notte e ormai da molte settimane, contro attività estrattive locali. In realtà – è l’accusa dei media armeni e dei pochi osservatori internazionali presenti – non si tratta di ecologisti fanatici, ma di uomini inviati dal governo azero: tra loro sono stati riconosciuti, affermano a Yerevan, «numerosi agenti dei servizi di sicurezza dell’Azeirbagian», Paese dove peraltro è vietata ogni forma di dissenso o di manifestazione non autorizzata.

La chiusura totale del cosiddetto corridoio di Lachin si è ormai trasformata in una crisi umanitaria per gli abitanti di Stepanakert (Khankendi, per gli azeri), la cittadina dell’enclave: sono isolati dal resto del mondo, se non per poche ore di elettricità e di connessione internet al giorno, manca il gas per cucinare e riscaldarsi, scarseggia il cibo, l’acqua non è potabile. Sono circondati da territori controllati da forze azere ostili.

Le immagini messe in Rete mostrano mercati e negozi vuoti, scuole chiuse, ospedali in difficoltà. Diciotto persone in terapia intensiva hanno bisogno di essere trasferite con urgenza, e già vi è un morto a causa del blocco. Prima arrivavano ogni giorno 400 tonnellate di beni di prima necessità, inviate da Yerevan. Oggi solo la Croce Rossa è autorizzata ad entrare nel corridoio di Lachin per portare qualche aiuto alla popolazione stremata e spaventata di Stepanakert.

Le piazze delle altre città armene ribollono di rabbia: enormi manifestazioni invocano una risposta armata e chiedono alla comunità internazionale di intervenire. A Yerevan nessuno si aspetta molto dai russi, storici alleati dell’Armenia. Fu Mosca, che possiede alcune basi militari in territorio armeno, a negoziare il cessate il fuoco nel 2020 tra Yerevan e Baku: le truppe dell’Azerbaigian, con il sostegno diplomatico turco e – soprattutto – i droni forniti da Ankara, avevano ripreso in 44 giorni di guerra il controllo della maggior parte del Nagorno Karabakh, occupato sin dal 1994 dall’Armenia.

La tregua del 2020 non si è mai trasformata in un accordo di pace e, in realtà, non si tratta nemmeno di una vera tregua, perché scontri e attacchi non sono cessati. Anzi, la pressione azera, sostenuta da Ankara, si è intensificata negli ultimi mesi fino all’accerchiamento dei 120 mila di Stapanakert. La Russia di Putin, assorbita e indebolita dal conflitto in Ucraina, non è stata in grado – spiega in un incontro in Rete l’autorevole giornalista armena Alison Tahmizian – di fronteggiare la crescente aggressività dell’Azerbaigian e nemmeno di evitare il blocco del corridoio di Lachin, che in teoria dovrebbe essere presidiato proprio da forze di interposizione russe, sulla base del cessate il fuoco del 2020. Secondo Tahmizian, i militari russi, incaricati di mantenere la pace, non possono ora intervenire contro manifestanti che si dichiarano ecologisti: impotenza che in realtà sta a testimoniare non solo l’indebolimento russo, ma anche la prudenza di Mosca nei confronti della Turchia, dati i complessi rapporti con Ankara in relazione alla guerra ucraina e all’altalenante confronto sulla Siria.

Il Caucaso rischia così di ripiombare in una delle sue infinite guerre. L’obiettivo dell’Azeirbagian e della Turchia, afferma la giornalista, è quello di conquistare tutta la parte meridionale dell’Armenia, per creare una fascia di territorio sotto il controllo turco-azero dal Mar Nero al Mar Caspio, con l’effetto non trascurabile di chiudere all’Iran (altro alleato storico di Yerevan) un’importante via di collegamento nel Caucaso qualora fosse completamente e definitivamente cancellata la contiguità territoriale tra la Repubblica Islamica e l’Armenia. Sul destino dei 120 mila ostaggi armeni dell’Artsakh si gioca la partita degli equilibri sud-caucasici.

Clicca qui per leggere una replica dell’ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, Ilgar Mukhtarov.

Clicca qui per leggere l’intervento dell’ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede, Garen Nazarian.

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