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Oro blu: israeliane, palestinesi e giordane all’opera

Manuela Borraccino
20 giugno 2022
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Ripartire dalle donne per raggiungere la sostenibilità ambientale in Medio Oriente. È una delle proposte al centro del Green Blue Deal, un’iniziativa proposta dall'ong ambientalista EcoPeace Middle East.


Non basta sensibilizzare l’opinione pubblica, sollecitare l’attenzione di politici e decisori sull’emergenza climatica. In una delle aree più surriscaldate del mondo, come il Medio Oriente, «è ora di investire con decisione sulla formazione ambientale di donne e giovani, le categorie più colpite dalla carenza idrica» della regione. È uno dei quattro pilastri del Green Blue Deal per il Medio Oriente, un progetto ambizioso lanciato dall’organizzazione EcoPeace Middle East formata da ambientalisti israeliani, palestinesi e giordani per far avanzare la sicurezza climatica attraverso la cooperazione ambientale. L’organizzazione ha sedi a Tel Aviv, Ramallah e Amman e ha due donne condirettrici accanto all’israeliano Gidon Bromberg: la palestinese Nada Majdalani e la giordana Yana Abu Taleb.

Nell’acqua un’opportunità di collaborazione

Di recente la vicedirettrice di EcoPeace Middle East, Dalit Wolf Golan, è intervenuta a un convegno promosso a Roma il 17 maggio scorso dalla Pontificia facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium e dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede.

In quella sede ha detto: «Se c’è un campo concreto nel quale i cittadini della nostra regione possono superare le loro differenze, trasformando un problema in un’opportunità per collaborare e costruire aiuto reciproco è la mancanza di acqua potabile. Ci sono tante famiglie, soprattutto in alcune aree palestinesi e giordane, che ricevono acqua solo una volta a settimana, oppure ogni 2 o 3 settimane, o anche una volta ogni tre mesi in estate. Immaginate raccogliere acqua per una madre di famiglia con una cisterna sul tetto in queste condizioni: come colmare il divario quando passano tre settimane o tre mesi? L’asprezza della vita quotidiana in condizioni di siccità colpisce duramente la vita delle donne nei nostri Paesi».

Le donne prime vittime della siccità

«Benché il peso della mancanza di acqua potabile ricada principalmente sulle donne, prime responsabili del lavoro domestico – ha rimarcato – la maggior parte dei leader politici sono uomini, come si vede anche dalla foto conclusiva dei lavori della Cop26 (la Conferenza internazionale sui mutamenti climatici convocata dalle Nazioni Unite a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 – ndr): coloro che hanno potenzialmente i mezzi per ottenere il cambiamento, allo stesso tempo non hanno interesse a rendere questo tema una priorità. Per colmare questo gap non abbiamo altra scelta che fare in modo che la voce delle donne venga ascoltata».

Così sono nati i quattro progetti al centro del Green Blue Deal (l’Accordo verdazzurro) di EcoPeace Middle East, un’iniziativa per sensibilizzare i cittadini di Israele, Palestina e Giordania, in primis le donne e i giovani, alle gravi carenze d’acqua nella regione e a come i cambiamenti climatici aggraveranno la situazione. Primo progetto: scambiare energia solare e acqua desalinizzata per aumentare la sicurezza energetica e alimentare per tutti i popoli della regione. Secondo: facilitare l’arrivo di acqua potabile in Palestina anche grazie alle capacità israeliane di riciclo delle acque reflue (Israele è da diversi anni leader mondiale per il riciclaggio dell’86 per cento delle acque reflue domestiche ed il loro riutilizzo per uso agricolo, mentre la Palestina riceve acqua pulita a intermittenza) in modo da «raggiungere una gestione equa delle risorse idriche». Terzo: azioni congiunte per ripristinare la biodiversità nel fiume Giordano, oggi gravemente inquinato. Al quarto posto – non in ordine di importanza – progetti di educazione ambientale e formazione dei giovani, anche attraverso i social media e le tecnologie, per rafforzare la resilienza climatica.

Nell’eco-sostenibilità la via per la pace

Gli ultimi accordi di cooperazione sull’acqua tra Israele e Palestina rientrano tra gli Accordi di Oslo del 1995, ha ricordato Wolf Golan, con allocazioni di acqua per il 75 per cento a Israele e il 25 per cento alla Palestina. I termini di quelle intese restano invariati perché sono uno dei cinque temi (insieme a ritorno dei rifugiati, colonie, confini e Gerusalemme – ndr) che verranno discussi e definiti in un eventuale negoziato. Dal 1995 ad oggi, ha aggiunto l’attivista, la situazione si è ancora più sbilanciata grazie alle tecnologie applicate dallo Stato ebraico alla desalinizzazione e al riutilizzo delle acque reflue: «La nuova realtà sul campo offre possibilità tecniche e logistiche di ridiscutere questa distribuzione, se c’è la volontà politica di affrontare questi temi. Vogliamo creare una domanda dal basso, una massa critica imponente da parte della popolazione, a cominciare dalle donne, perché si affronti questa sfida. Le donne sono in prima linea, anzi in trincea, nel subire l’impatto dei cambiamenti climatici: le loro sono le voci più importanti che devono essere ascoltate».

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