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Gerusalemme, la Marcia delle bandiere si radicalizza

Cécile Lemoine
30 maggio 2022
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Gerusalemme, la Marcia delle bandiere si radicalizza
Migliaia di giovani partecipanti si sono riversati su Gerusalemme per la Marcia delle bandiere il 29 maggio 2022. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

La Giornata di Gerusalemme, che celebra la presa israeliana dei quartieri orientali nel 1967, domenica 29 maggio si è convertita in una dimostrazione di forza e di odio anti-arabo da parte delle frange giovanili ebraiche più radicali.


Domenica 29 maggio, gli israeliani hanno celebrato la Giornata di Gerusalemme, una festa che ricorda la conquista della parte orientale della città (popolata prevalentemente da palestinesi) durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e quella che considerano l’avvenuta riunificazione della loro capitale.

Complessivamente quasi 70mila persone (rispetto a una media di 10mila negli anni precedenti), scortate da 3.000 agenti di polizia, sono arrivate da tutto il Paese e dagli insediamenti in Cisgiordania. Bandiere in mano e canti patriottici sulle labbra, gruppi di giovani hanno varcato la Porta di Damasco per poi attraversare il quartiere musulmano della città vecchia e concludere la marcia ai piedi del Muro Occidentale.

«Gerusalemme è nostra» scandivano i partecipanti alla manifestazione organizzata da Am Kalavi, una fondazione sionista e nazionalista di estrema destra, e guidata dal rabbino Haim Drukman. Negli ultimi anni, sotto la pressione dell’Alta Corte di Giustizia, gli organizzatori della marcia avevano cercato di arginare la componente razzista dell’evento.

Annullata a causa della pandemia di Covid-19 nel 2020; rinviata e poi deviata nel 2021 a causa delle tensioni con Hamas, la Marcia delle Bandiere quest’anno è tornata nella città vecchia con un’esplosione di violenza verbale, fisica e simbolica contro tutto ciò che è arabo raramente vista in precedenza.

Momenti di alta tensione

La giornata è stata segnata dalla salita di 2.600 ebrei alla Spianata delle Moschee, o Monte del Tempio (perché lì sorgeva, fino a 2.000 anni fa, il massimo luogo di culto degli israeliti – ndr). Sebbene l’accesso alla Spanata sia proibito dal Gran Rabbinato d’Israele per evitare che venga calpestata l’area su cui sorgeva il Santo dei Santi (il luogo più sacro del Tempio a cui poteva accedere solo il Sommo sacerdote), negli ultimi anni è sempre più comune che degli ebrei sfidino il divieto. Accompagnati da una pesante scorta di polizia, gruppi di 40-50 persone hanno potuto avvicendarsi a pregare sulla spianata e sventolare le bandiere israeliane, infrangendo lo status quo stabilito nel 1967, in base al quale solo i musulmani possono pregare in quel luogo, mentre agli ebrei e ai cristiani è consentita la visita.

La marcia vera e propria è iniziata solo alle quattro del pomeriggio, nella parte occidentale di Gerusalemme. Ma taluni non hanno aspettato fino a quell’ora per riversarsi nella città vecchia, popolata per lo più da palestinesi, rimasti bloccati dietro le barriere della polizia per tutto il giorno.

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Varcare la Porta di Damasco – luogo emblematico delle lotte palestinesi a Gerusalemme – sembra uno sbocco naturale per questi giovani provenienti dalle yeshivà (le scuole ebraiche per lo studio dei testi sacri), dai movimenti scout o dalle scuole religiose sioniste che li preparano al servizio militare.

Tra questi impetuosi ragazzi – di età media compresa tra i 15 e i 20 anni – si moltiplicano i gesti provocatori e le dimostrazioni di forza, davanti a una polizia talvolta sopraffatta dalla situazione. Un’anziana donna palestinese è stata violentemente colpita da un giovane colono mentre rispondeva agli insulti con un movimento delle braccia. Bottiglie d’acqua sono state lanciate contro i palestinesi che osservavano disinvolti il corteo dai loro balconi e contro il proprietario di un negozio che aveva deciso di rimanere aperto per non «piegarsi alla provocazione». Anche i giornalisti palestinesi sono stati attaccati direttamente: uno è stato preso di mira da un israeliano che brandiva una pistola; un altro è stato quasi picchiato da un gruppo di giovani di Familia, sostenitori della squadra di calcio Beitar Jerusalem.

Una marcia, due volti

I gruppi più estremisti hanno scandito slogan razzisti: «Morte agli arabi», «Maometto è morto», «Arabi, figli di p…», «Che il vostro villaggio bruci». Urlati ancora più forte quando un drone con la bandiera palestinese sorvola per qualche minuto la città vecchia in segno di sfida. Tra i gruppi più accesi, l’organizzazione suprematista ebraica Lehava, il cui estremismo è stato condannato anche dal ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid: «Lehava e il suo entourage non meritano di portare la nostra bandiera. Sono una vergogna che danneggia la gioia del popolo di Israele in questo giorno a Gerusalemme», ha scritto su Twitter.

Più lontano dal centro nevralgico della manifestazione, rappresentato dalla Porta di Damasco, la parata assume un volto completamente diverso. La Marcia delle bandiere segue in realtà due percorsi: il secondo raggiunge il Muro Occidentale dopo aver costeggiato il quartiere armeno. È questo il percorso seguito da gruppi di ragazze, più gioiose e tranquille.

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Da parte palestinese, una manifestazione alternativa è stata organizzata in via Salah al Deen. I partecipanti erano diverse centinaia e brandivano bandiere palestinesi, prima della carica della polizia. A fine giornata sono scoppiati scontri a Gerusalemme Est. Ci sono stati ebrei che hanno preso di mira le auto palestinesi, e palestinesi che hanno attaccato gli autobus israeliani. In tutto, almeno 60 persone sono state arrestate, secondo la polizia israeliana. Cinque poliziotti israeliani, tre civili israeliani e 40 palestinesi sono rimasti feriti, secondo la polizia e i medici.

La Marcia delle bandiere non è sempre stata un simile sfogo di odio. «Quando fu celebrata per la prima volta nel 1968, la gente si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme e colse l’occasione per visitare la città», afferma Mordechai Naor, ricercatore specializzato nella storia dello Stato di Israele e del popolo ebraico presso Media Line. «Un’eventuale parata, ai tempi sarebbe passata attraverso per il quartiere ebraico. Ora ci si fa deliberatamente strada nel quartiere musulmano per dimostrare chi comanda».

Odio per gli arabi

Quel simbolo della resistenza palestinese che è la Porta di Damasco impone un mutamento di filosofia alla marcia per rimarcare la sovranità israeliana su tutta la città: «Se non la si varcasse, sarebbe come rinunciare a parte della propria sovranità sulla città. Ma quando si attraversa quella porta, si può giungere a comportamenti inappropriati da parte dei manifestanti o ad espressioni di violenza», ha dichiarato a Media Line Jeffrey Woolf, docente di Talmud all’Università Bar-Ilan ed esperto di movimenti sionisti.

Anche la sociologia dei partecipanti è mutata. Coloro che attraversano la Porta di Damasco oggi sono più giovani, religiosi e sionisti. Poco disciplinati e propensi alla violenza. Una radicalizzazione delle idee che Nir Hasson, giornalista esperto del quotidiano Haaretz, riscontra su più ampia scala nella società israeliana e che, secondo lui, è dovuta alla campagna estremista condotta dai sostenitori di Benjamin Netanyahu: «Sembra che l’odio verso tutto ciò che è percepito come arabo, di sinistra o legato ai media si sia infiltrato per molti mesi nelle teste dei marciatori», scrive sulle colonne del suo giornale, che è classificato di sinistra.

La recente serie di attentati perpetrati nelle città israeliane da giovani provenienti dai territori palestinesi ha amplificato questo fenomeno di odio e paura verso quelli che molti considerano «terroristi». Il termine riecheggia più volte durante la Marcia. Se sono una minoranza rispetto ai 70mila partecipanti, i giovani radicali ebrei hanno dato la loro fisionomia alle immagini che rimarranno di questa giornata.

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