Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Superare il confine per essere salvati

fra Matteo Brena
13 gennaio 2022
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Superare il confine per essere salvati
Gesù e l’emorroissa, Roma, catacomba dei Santi Marcellino e Pietro (III sec.)

Come l’emorroissa, la donna malata e salvata da Gesù, siamo chiamati ad essere animati dal desiderio di guarire per tornare a una vita di relazione. Un superamento del nostro isolamento che Francesco d’Assisi ha messo in atto


Toccare è il primo dei cinque sensi che si manifesta in ciascuno di noi, esprime la nostra alterità ed è il senso che più coinvolge e fa sperimentare la comunione profonda e l’intimità. Toccare è sempre vicinanza, reciprocità, relazione, è sempre un vibrare dell’intero corpo al contatto con il corpo dell’altro. In questo lungo tempo di pandemia siamo stati invitati e ci siamo abituati ad astenerci dal toccare ed essere toccati o per lo meno a farlo attraverso opportune precauzioni o barriere per evitare il contagio. Alla luce di questa condizione possiamo però cogliere l’occasione per riflettere sull’importanza di questo verbo, canale di comunicazione, conoscenza e… guarigione.

Nei vangeli il verbo «toccare» esprime l’attività taumaturgica di Gesù che consiste in un toccare salvifico che porta a guarigione. Gli evangelisti presentano tutta una serie di persone che sono destinatari di questo tocco: il lebbroso, la suocera di Simone, l’emorroissa, il sordomuto, i ciechi, il figlio della vedova di Nain, il servo del sommo sacerdote al quale Gesù riattacca l’orecchio. È il Messia che entra nella quotidianità della gente, si fa ospitare nelle case, si siede nelle sinagoghe o in un prato per insegnare, entra in contatto con la quotidianità della gente, spezza il pane, guarisce e libera. Nel capitolo 5 del vangelo di Marco si racconta la vicenda di una donna emorroissa e malata, che ha già sperimentato molti tentativi per liberarsi dal suo male, ma senza risultato. È determinata a ottenere la guarigione ed è arrivata alla consapevolezza che solo Gesù può guarirla e quindi è disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo, e così supera il confine della legge ebraica e della mentalità del suo tempo.

In pochi versetti di questa pericope il verbo «toccare» è usato ben quattro volte quasi a comunicare al lettore che la fede si esprime nel gesto di toccare Gesù, con la consapevolezza che in quel contatto si può ottenere la liberazione, la salvezza e il ritorno alla vita. La donna che soffre da molto tempo di una emorragia, secondo le prescrizioni religiose di quel tempo è impura, intoccabile e contagiosa per chiunque e questo la priva di qualsiasi progetto di affettività, di maternità, di amore. La tradizione non consegna alla storia nemmeno il suo nome perché è la malattia a definirla nella sua identità più profonda. Nonostante la sofferenza e l’aver speso tutte le sue risorse vuole essere guarita. Con un desiderio più forte dell’osservanza della legge, allungando la mano, si protrae fuori dal suo spazio fisico e si apre all’esperienza dell’amore che finora le era stata negata. Il contatto furtivo con l’orlo del tallit, il tipico mantello della preghiera dell’uomo ebreo, si trasforma in un incontro che la risana nel corpo e la reintegra nella dignità sociale. La vita della donna cambia radicalmente.

Il desiderio di toccare ed essere toccati da Gesù è ciò che ci aiuta a interpretare molte vicende della vita di Francesco d’Assisi e del suo percorso di crescita umana e spirituale. Nel momento più difficile del suo processo di conversione, l’abbracciare e il toccare il lebbroso è stata l’esperienza che ha portato un gusto nuovo e lo ha spinto a lasciare tutto. Negli anni a seguire il «toccare» i poveri e i fratelli è stata la via per fare esperienza di Cristo. Il «toccare» i luoghi di Cristo nel pellegrinaggio in Terra Santa, aiuta Francesco a divenire consapevole che la fede ha bisogno di vedere. Da quell’esperienza nasce l’ispirazione che lo porta a ricreare il Presepe a Greccio. Infine, nell’esperienza della Verna, Francesco tocca e assume le cinque piaghe del crocifisso che riproducono nel suo corpo e nel suo spirito il dolore e l’amore di colui che aveva consegnato sé stesso per la vita di tutti. Papa Francesco in più occasioni, in questi due anni di pandemia, ci ha ricordato che «nessuno si salva da solo» e che la soluzione ai nostri problemi spesso sta fuori da noi.

L’emorroissa ci ricorda che siamo chiamati a essere persone «desideranti» che si muovono aldilà dai propri confini per aprirsi a un contatto, a una relazione con quel Maestro del quale abbiamo sentito parlare tante volte. San Francesco ci testimonia che i veri cambiamenti e conversioni partono da un contatto con una realtà altra e diversa. Anche per noi la salvezza, la guarigione, il cambiamento è sperimentabile nella misura in cui ci mettiamo in moto, usciamo dal nostro isolamento e confine e facciamo nostra l’identità del discepolo.

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