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Mosca crocevia della politica palestinese

Fulvio Scaglione
24 novembre 2021
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Nelle ultime settimane sono passati dal Cremlino Mohammed Dahlan e Mahmoud Abbas. I politici palestinesi chiedono ai russi di facilitare svolte politiche e diplomatiche non facili da ottenere. Che interessi ha la Russia?


Il sempre tormentato corso della politica palestinese in questi giorni ha trovato modo di passare per Mosca. Ai primi di novembre, infatti, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha ricevuto Mohammed Dahlan, una delle figure più controverse di Fatah: negli anni Ottanta detenuto nelle carceri israeliane con l’accusa di terrorismo, nei Novanta capo dei servizi di sicurezza dell’Autorità palestinese, nei Duemila membro del comitato centrale di Fatah prima di essere espulso, nel 2011, con l’accusa di aver avvelenato Arafat.

Pare che Dahlan sia arrivato in Russia con una richiesta al governo russo: mediare con il presidente Mahmoud Abbas e la dirigenza di Fatah perché gli sia permesso di rientrare nel partito. Un paio di settimane più tardi a Mosca è arrivato proprio Mahmoud Abbas (Abu Mazen), anche lui a invocare una mediazione del Cremlino, questa volta affinché la Russia – che con gli Usa, la Ue e l’Onu compone il Quartetto per il Medio Oriente – si attivi per rimettere in moto le trattative con Israele.

Abbas, che ha incontrato il presidente Vladimir Putin il 23 novembre, in effetti non è messo bene. Gli aiuti internazionali alla causa palestinese calano di anno in anno. È contestato in patria. Da Israele ottiene poco o nulla e ora si è pure cacciato in una specie di vicolo cieco. In settembre, parlando alle Nazioni Unite, Abbas ha dato un anno a Israele per ritirarsi dai territori occupati nel 1967. Israele non ha alcuna intenzione di considerare questo ultimatum, ovviamente. Il che lascia all’Autorità palestinese l’arduo compito di preparare una reazione. E l’arma più potente a disposizione resta il ricorso alla Corte internazionale di Giustizia, che non dovrebbe inquietare più di tanto lo Stato ebraico.

Questa però, per quanto importante, è solo la superficie. In primo luogo, la Russia non è l’Urss, che sosteneva i palestinesi senza se e senza ma, e comunque non pare il Paese più adatto per rispondere agli appelli di Mahmoud Abbas, perché ha ottimi rapporti con Israele e pessimi con gli Usa (vedi Siria) e con la Ue (vedi Libia), altri membri del Quartetto. E poi i palestinesi non sono certo la carta vincente, e nemmeno la più importante, in una partita mediorientale che è molto più complessa di così. Il paria (per Fatah) Dahlan è vissuto questi dieci anni di esilio negli Emirati Arabi Uniti, che oggi sono all’avanguardia nel disgelo dei Paesi arabi con Israele ma anche nel recupero delle relazioni con la Siria di Bashar al-Assad, tanto che poche settimane fa il presidente siriano ha ricevuto a Damasco Sheikh Abdullah bin Zayed, il ministro degli Esteri emiratino. Israele e Siria, Paesi che, pur per ragioni del tutto diverse, sono importantissimi per il Cremlino, assai più di quanto lo siano i palestinesi.

Quando Dahlan chiede alla Russia di intercedere perché Fatah lo riammetta nei ranghi, lo fa avendo ben presente che nel marzo del 2022 il partito dovrà tenere la conferenza generale che eleggerà il Comitato centrale (massimo organo decisionale) e il Consiglio rivoluzionario. Dahlan vorrebbe entrare nel Comitato centrale a nome dei cosiddetti “riformisti” e aprire così la corsa alla successione al presidente Mahmoud Abbas. Considerati gli sponsor politici che si ritrova, è ovvio che lo farebbe in nome di un diverso approccio alle trattative con Israele.

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