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Ad Ashdod, tombe parlano di diaconesse e di peste

Christophe Lafontaine
29 novembre 2021
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Ad Ashdod,  tombe parlano di diaconesse e di peste
Particolare dall’alto della basilica bizantina di Ashdod. (foto Slava Pirsky e Sergey Alon)

Una nuova scoperta ad Ashdod: le tombe tra i resti di una basilica bizantina mostrano l’importanza data alle donne del clero in quell’epoca. Le stesse tombe furono riutilizzate durante un’epidemia nel VI secolo d.C.


Il quotidiano israeliano Haaretz il 15 novembre ha riportato la notizia che gli archeologi non cessano di svelare i segreti di una basilica di epoca bizantina rinvenuta nel 2017 ad Ashdod (Azoto), 45 chilometri a sud di Tel Aviv. Costruita nel IV secolo o V secolo d.C., è «considerata una delle più antiche e grandi basiliche cristiane ritrovate in Israele».

L’edificio si sviluppa secondo un classico impianto a tre navate con diverse cappelle annesse. Se, da un lato, non si conosce a chi fosse dedicata la chiesa, dall’altro si sa, attraverso lo studio dei mosaici sul pavimento, che onorava la memoria di diverse donne. Infatti, il pavimento della basilica è ricoperto di eleganti mosaici raffiguranti croci, elaborati motivi geometrici, nonché scene di animali e una dozzina di iscrizioni in onore di uomini e donne, in proporzioni pressoché uguali.

Onore alle donne membri del clero

Il testo più antico è un’iscrizione funeraria: «in memoria del sacerdote Gaianos e di Severa, la donna diacono», e ha una data indicata con un altro calendario – 169 – che, secondo gli esperti, corrisponderebbe all’anno 416 d.C.

Iscrizione dedicataria in greco «in memoria del sacerdote Gaianos e di Severa, la diaconessa» (foto Sasha Flit)

 

Anche altre donne, sepolte sotto il pavimento di tessere, vengono onorate: «la santa madre Sofronia», che forse fu, secondo gli studiosi, la superiora di un monastero vicino; «la diaconessa Teodosia» e «la diaconessa Gregoria». Le diaconesse – da diakonos che in greco significa «servo» o «assistente» – erano donne ministre del clero, che, secondo le fonti, venivano ordinate o istituite solennemente con una benedizione. Avevano un ruolo più o meno analogo a quello dei diaconi.

Ne parla già san Paolo nella sua Lettera ai Romani (16,1): «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso». È logico pensare che i nomi delle donne commemorati ad Ashdod rafforzino l’idea sempre più accettata dell’importanza delle diaconesse al servizio della Chiesa nel cristianesimo delle origini.

Un legame con una delle figlie dell’apostolo Filippo?

Nell’abside centrale della basilica sono stati rinvenuti una tomba e un altare maggiore che, secondo i ricercatori, risalirebbero alla fine del periodo romano, cioè prima della costruzione della basilica bizantina. La semplice sepoltura senza artefatti è «tipica di quella riservata ai primi santi cristiani», ha spiegato Hila May, antropologa dell’Università di Tel Aviv, riportata da Haaretz. Lavorando sulle ossa trovate nel sito, May ha notato che la tomba è l’unica sepoltura nella basilica che non è stata riutilizzata in un secondo momento come fossa comune. Un segno di rispetto per la persona defunta che vi riposa.

Dalle prime evidenze, la ricercatrice presume che la persona sepolta fosse una donna. Tuttavia, per la cronaca, sappiamo che la città di Ashdod è legata al passaggio dell’apostolo Filippo. L’episodio è citato negli Atti degli Apostoli (8,40). Sappiamo anche dagli Atti, capitolo 21, versetto 9, che l’apostolo aveva «quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia». Allora sorge la domanda se la tomba sia quella di una delle figlie di san Filippo. «Al momento è una semplice ipotesi», ha detto cautamente Hila May ad Haaretz. Ma questo spiegherebbe il numero di diaconesse sepolte nella basilica, presso la tomba in questione. Devono essere svolte ulteriori indagini.

Una possibile prova della peste di Giustiniano

Scavando nelle tombe della basilica, i ricercatori hanno anche scoperto che la maggior parte era stata riutilizzata intorno al VI secolo d.C. All’interno, infatti, non hanno trovato uno scheletro singolo, ma quantità di ossa appartenenti a decine di persone. Hanno scoperto che i corpi erano stati sepolti alla rinfusa, «senza cerimonie» e in maniera precipitosa. Lo dimostrano le frettolose riparazioni dei mosaici pavimentali danneggiati dalle aperture della tombe. Di solito gli esperti associano questo tipo di sepoltura di massa a periodi di crisi o grandi epidemie. Inoltre, i corpi erano ricoperti di calce, utile per trattenere gli odori e soprattutto la contaminazione.

Per i ricercatori questa sarebbe una rara prova di una pandemia scoppiata nel VI secolo; probabilmente la peste di Giustiniano, così ricordata dal nome dell’imperatore romano d’Oriente (c. 482-565). Questa pestilenza imperversò nell’impero dal 541, passando dall’Egitto attraverso la Palestina fino a raggiungere Costantinopoli. Si ritiene che abbia colpito tra un quarto e un terzo della popolazione dell’impero e che abbia contribuito in modo significativo al suo declino. Per il momento le ossa della basilica sono ancora allo studio e gli scienziati stanno cercando tracce del batterio Yersinia pestis.

La preghiera per le anime dei morti

La basilica di Ashdod fu successivamente distrutta da un incendio di grandi proporzioni intorno al 600 d.C., ha spiegato ad Haaretz l’archeologo dell’Università di Tel Aviv Alexander Fantalkin, che dirige gli scavi. Il crollo del tetto dell’edificio ha contribuito probabilmente a preservare l’edificio e i suoi mosaici nel corso dei secoli.

Archeologi, funzionari e rappresentanti della Chiesa greco-ortodossa a Gerusalemme, tra cui il patriarca Teofilo III durante una cerimonia svoltasi presso la basilica di Ashdod. (foto Sasha Flit)

 

Quest’estate, in luglio, il clero ortodosso ha celebrato una liturgia per pregare per le anime dei morti. Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, ha espresso il desiderio che la chiesa sia preservata e resa accessibile a ricercatori e pellegrini. Citato dal quotidiano Haaretz, Saar Ganor, archeologo capo dell’Autorità per le antichità israeliane (Aia) per l’intera regione di Ashkelon, che comprende Ashdod, ha definito il sito di enorme importanza, ponendolo allo stesso livello di quello di Cesarea. Per ora, i reperti sono stati ricoperti per proteggerli dagli elementi naturali e dagli atti vandalici.

 

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