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Maspero e la nuova faccia del Cairo

Paola Caridi
26 ottobre 2021
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Le aree più appetibili della capitale egiziana subiscono un’operazione di abbellimento, di gentrificazione, a spese dei loro storici abitanti. Sono in genere i poveri, a cui vengono offerte condizioni capestro come il trasferimento nell’estrema periferia.


E così, a detta delle autorità del Cairo, la capitale egiziana dovrà cambiare faccia entro la fine del 2021. Una scadenza di pochi mesi, prima che vengano distrutti tutti i cosiddetti quartieri informali in alcune delle zone immobiliari più interessanti della megalopoli. Lo ha confermato il primo ministro Mustafa Madbouly in agosto: la distruzione dei quartieri informali entra del tutto nella visione del piano Egitto 2030.

Il regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi persegue l’obiettivo di cambiare la faccia del Cairo. Un’idea che, a dire il vero, è ben precedente all’ascesa dell’ex generale al potere, dopo il golpe militare del 2013. Il piano è chiaro, e a modo suo è figlio dei progetti di sviluppo di molte realtà urbane contemporanee, anche in Italia. Le aree più appetibili nel centro della città subiscono un’operazione di abbellimento, di «gentrificazione» (il neologismo indica la riqualificazione di un quartiere, trasformandolo da popolare a residenziale – ndr), a spese dei suoi storici abitanti. Sono in genere i poveri delle città, i subalterni, a cui vengono offerte condizioni capestro: la tua casa verrà distrutta, ma ti offriamo alternative, compresa la dislocazione in un quartiere dell’estrema periferia.

Nel caso del Cairo, da anni va avanti la distruzione dei cosiddetti ashwaiyyat, considerati pericolosi per il modo in cui sono stati costruiti, spesso composti di edifici fatiscenti e privi di sicurezza. Molti abitanti hanno già accettato di trasferirsi nelle aree di espansione della Grande Cairo, costruite con grandi investimenti nel deserto che circonda umm el-dunya, la madre del mondo, come gli egiziani amano chiamare la loro città più amata. Il caso più esemplificativo, ma anche più controverso, riguarda un’area di palazzi e casette, edifici governativi e alberghi, in una delle zone di più alto valore immobiliare. Il Triangolo di Maspero, tra l’antico consolato italiano, il vecchio Museo Egizio, la Corniche del Nilo sino a due edifici importanti nella geografia politica del Cairo: il palazzo della radiotelevisione e il ministero degli Esteri. In sostanza, tutta la zona alle spalle di piazza Tahrir. Area di pregio, decisamente appetibile, che una società – la Forster & Partners, vincitrice del bando internazionale – sta già trasformando in centro multifunzionale, con alberghi, vie commerciali, grattacieli di uffici, edifici residenziali. Modello Dubai. Per fare posto a una supposta rinascita urbanistica, è stato distrutto nel 2018 l’intero quartiere informale alle spalle del lungo-Nilo, in cui vivevano quasi ventimila persone.

C’è chi sostiene – come fa la studiosa egiziana Dina Wahba – che il caso del cosiddetto Triangolo di Maspero sia un ottimo esempio per comprendere cosa è successo dopo la rivoluzione di Tahrir. In particolare, in quel mondo variegato dei subalterni, poveri della città che della rivolta e del fermento del 2011 sono stati protagonisti anche politici. Hanno fatto, e spesso salvato, la rivoluzione. Dina Wahba va oltre, sostenendo che «la rimozione di un intero quartiere abbia un obiettivo politico: smantellare i laboratori politici e spazzare via la politica della strada». Di certo, la trasformazione edulcorata di Maspero vuole far dimenticare Tahrir come segno della rivoluzione, allontanare i poveri dal centro del Cairo, rendere invisibile quel conflitto urbano che è stato alla base della richiesta popolare di dignità e giustizia.

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