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La torrida estate del Medio Oriente

Elisa Pinna
17 settembre 2021
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Quella che si sta spegnendo è stata un'estate climaticamente estrema in molte aree del Medio Oriente. Se tutto ciò sembra già un incubo, la cattiva notizia – a dar retta agli esperti – è che siamo solo all’inizio della storia.


È stata una torrida e lunga estate in Medio Oriente, segnale di un disastro ambientale destinato ad aggravarsi nei prossimi trent’anni. Già a giugno, in Kuwait si soffocava con temperature arrivate a superare 53 gradi, mentre in Arabia Saudita, in Oman e negli Emirati Arabi Uniti i termometri puntavano, nelle ore diurne, sui 50. A luglio, in Iraq le temperature hanno superato i 51 gradi e le città si sono trasformate in bolle di aria irrespirabile, sudore, malcontento. L’Iran non se l’è passata meglio.

L’emergenza climatica ha provocato incendi e siccità, mettendo in crisi gli approvvigionamenti idrici – sia per le città che per l’agricoltura – e le infrastrutture energetiche, a fronte di una richiesta di elettricità moltiplicata dall’assoluto bisogno di assicurare il funzionamento dell’aria condizionata negli agglomerati urbani schiacciati dalla cappa di calore. La mancanza d’acqua e le sempre più lunghe interruzioni nella fornitura di energia elettrica in larghe parti del Medio Oriente hanno esasperato l’endemica instabilità politica, sociale ed economica di una regione in cui si intrecciano conflitti aperti e potenziali, un’epidemia di Covid-19 fuori controllo nei Paesi più popolosi, e, nel caso di Iran e Siria, le sanzioni occidentali.

In molte nazioni, l’emergenza clima ha fatto emergere lo stato disastroso delle infrastrutture essenziali per la vita civile e le attività di sostentamento della popolazione. Estremo è il caso del Libano, ormai sprofondato nel caos totale, dove la rete elettrica non è più in grado di garantire le poche ore di fornitura elettrica assicurate alla bell’e meglio fino a qualche tempo fa. In agosto, la Banca Centrale del Paese dei cedri, ormai in preda a una crisi economica devastante, ha soppresso le sovvenzioni sul carburante e la gente, senza più soldi per far funzionare i propri generatori elettrici, ha dato l’assalto alle pompe di benzina, con incidenti anche mortali e un aggravarsi della disgregazione sociale.

In Iraq, il caldo estremo di quest’estate ha reso intollerabile lo stato fatiscente delle infrastrutture energetiche e ha ulteriormente esasperato gli animi. Il governo ovviamente sottolinea la responsabilità dei gruppi estremisti, che – secondo quanto riferisce la stampa locale – hanno fatto saltare più di 70 tralicci. Ma in realtà, il problema sta nell’obsolescenza della rete che, secondo quanto riportano interviste agli esperti raccolte dalla tedesca Deutsche Welle, disperde nel trasporto tra il 40 e il 50 per cento dell’energia prodotta dalle centrali. Non stupisce che, con temperature fino a 51 gradi, la folla abbia indirizzato la propria rabbia contro i fornitori di elettricità, a Baghdad e Diyala anche assaltandone gli impianti.

Ancor più drammatico l’impatto del clima torrido sulla disponibilità delle risorse idriche. Nel Khuzestan iraniano, le temperature torride e la carenza d’acqua per irrigare le campagne hanno distrutto i raccolti e ucciso il bestiame degli allevatori, costringendo alla protesta di piazza una popolazione che ormai ha poco da perdere e chiede apertamente, nonostante la repressione poliziesca, la testa della guida suprema, Ali Khamenei. Secondo il responsabile del servizio meteorologico iraniano, i mesi da ottobre 2020 all’estate attuale sono stati i più aridi degli ultimi 53 anni e la temperatura media del Paese è aumentate di due gradi dagli anni Sessanta del Novecento, mentre negli ultimi vent’anni le precipitazioni medie sono diminuite di un quinto. La soluzione adottata dal governo, moltiplicare per dieci il numero delle dighe da quando è stato instaurato il regime degli ayatollah, non ha portato a risultati, almeno nelle regioni meridionali più aride, ed è anzi contestato perché con queste temperature i grandi bacini di acqua ne disperdono troppa con l’evaporazione.

In Yemen la guerra assorbe tutte le forze e le attenzioni; le poche falde acquifere sotterranee sono rimaste senza manutenzione e si sono inaridite: già ad oggi la popolazione yemenita dispone di un consumo idrico pro-capite di 120 metri cubi di acqua all’anno (da utilizzare anche per le attività industriali e agricole svolte nel Paese), una quantità ridicola se comparata alla media mondiale di 7.500 metri cubi di acqua pro capite. Da decenni in Yemen l’acqua è una risorsa scarsa e fattore di conflitti e instabilità. La mancanza di fonti idriche ha fatto scomparire interi villaggi e contribuito alla fuga verso le città, dove la situazione però non è migliore.

Un elemento accomuna tutte queste situazioni: l’intreccio tra emergenza climatica, crisi economica, inefficienza e corruzione dei governi, esasperato da situazioni di guerra o di acuta instabilità e dalle tensioni geopolitiche. I conflitti sottraggono attenzione e risorse dalla manutenzione delle infrastrutture civili, il cui degrado accentua la sofferenza delle popolazioni e accresce i conflitti stessi, in una spirale perversa che la corruzione e l’inefficienza consolidano.

Se tutto ciò sembra già un incubo, la cattiva notizia – a leggere i rapporti di istituti specializzati – è che siamo solo all’inizio della storia. Le emissioni di gas serra, in assenza di investimenti in nuove tecnologie, si sono triplicate negli ultimi tre decenni e superano ormai – secondo gli esperti del Max Planck Institute – quelle dell’Unione europea. La regione mediorientale si sta surriscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media del pianeta. I climatologi del Max Planck prevedono che, in assenza di drastiche – e al momento improbabili – inversioni di rotta, la temperatura della regione avrà un aumento di quattro gradi nei prossimi trent’anni, ben oltre la soglia di 1,5 fissata per il 2050 dagli esperti come limite invalicabile per evitare catastrofi globali.

Entro la fine del secolo molte città mediorientali potrebbero avere una temperatura fino a 60 gradi per quattro mesi all’anno: sarebbero in pratica inabitabili pur con uso costante dell’aria condizionata, un bene che sta già diventando un lusso inaccessibile per i più, dati i costi e la precarietà di approvvigionamento di energia elettrica.

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