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Tebtynis, cercando i primi cristiani

Aristide Malnati e Virginia Reniero
14 luglio 2021
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Tebtynis, cercando i primi cristiani
Una veduta degli scavi compiuti a Tebtynis (nell'oasi del Fayum), importante città egizia del periodo tolemaico (foto I.M.Ibrahim / IFAO).

La scoperta insolita e preziosa di un coccio d'anfora di terracotta a Tebtynis, nel basso Egitto, potrebbe gettare nuova luce sulle prime comunità cristiane che nel primo sec. d.C. portarono la loro predicazione ovunque nell’Impero romano.


Una scoperta insolita e particolarmente preziosa potrebbe gettare nuova luce sulle prime comunità cristiane, o comunque su importanti gruppi del giudaismo messianico, che nel I sec. d.C., subito dopo la predicazione terrena di Gesù, furono attivi in Giudea e Galilea e che pian piano portarono la loro predicazione ovunque nell’Impero romano. Un coccio d’anfora di terracotta, di una certa consistenza, rivela uno scritto sorprendente e dalle implicazioni che potrebbero rivelarsi clamorose: si tratta di un testo in aramaico antico, databile con sicurezza attorno al 50 d.C. e contenente, da quanto trapela dagli studiosi che ne hanno fatto una prima analisi (il reperto non è ancora stato pubblicato), un rendiconto frammentario di spese sostenute per acquistare beni, verosimilmente non destinati a un unico soggetto, ma ad uso di un gruppo più vasto, forse una piccola comunità. Questo è quello che si deduce dalla sommaria descrizione – l’unica nota ufficiale da parte degli autori del rinvenimento – presente nella rivista RiseRicerche Italiane e Scavi in Egitto (2018, p. 141, nota 144); a cui si aggiunge un breve accenno al reperto nel corso di una conferenza all’Istituto italiano di Cultura al Cairo, alla quale hanno partecipato via web studiosi di fama internazionale. Ma questo basta a darci alcune solide certezze e, un po’, a farci sognare.

Il grosso ostrakon, appunto il coccio in questione, in primo luogo è stato trovato a Tebtynis, un villaggio periferico dell’Arsinoite (l’odierna oasi egiziana del Fayum, a 80 chilometri a sud-ovest del Cairo), che pur avendo un’attività culturale e sociale di un certo rilievo, grazie all’importante tempio del dio-coccodrillo Sobek, meta di numerosi pellegrini, non era certo centro nevralgico in costante contatto con le città cardine del neonato Impero romano. Per intenderci, testi scritti, che testimoniano relazioni sistematiche di Tebtynis anche solo con Alessandria d’Egitto, unica metropoli internazionale (diremmo oggi) del Paese del Nilo, e con la sua famosa biblioteca, sono rarissimi. Quindi trovare un gruppo di ebrei in una località quasi sconosciuta a chi gestiva le sorti dell’Impero fa pensare che essi volessero condurre una vita appartata, svolgere le proprie attività tra di loro, in una cerchia ristretta e fidata di persone; era come se volessero fuggire da qualcosa perché perseguiti nel loro operato in Palestina e come se appunto non volessero mischiarsi con i locali (di qui l’uso della lingua aramaica, che in un piccolo villaggio egizio nessuno capiva).

Ma da cosa erano fuggiti, riparando tanto lontano dalla terra natia? Sappiamo che dopo la morte di re Erode (4 a.C.), che aveva cercato invano di far accettare soprattutto agli oltranzisti dell’ebraismo radicale (gli zeloti) il dominio di Roma in Giudea, a Gerusalemme e in molti altri centri israeliti iniziò un periodo messianico, in cui era forte l’attesa del Messia, che liberasse il popolo ebraico dai nuovi occupanti: e anche l’operato di Gesù e i primi cristiani vennero confusi con tale radicalismo estremista dal potere di Roma e dal giudaismo ufficiale, colluso con i rappresentanti dell’Impero, che iniziarono a perseguitarli senza troppo distinguere. Ecco perché furono in molti, tra i primi cristiani, ad andarsene dalla Giudea e a cercare riparo in villaggi periferici del lontano Egitto, come Tebtynis. A questo motivo si aggiunga anche la volontà di predicare ovunque la Buona Novella, che subito animò gli adepti del neonato cristianesimo, diventato dopo il Concilio di Gerusalemme (49 d.C.) religione ecumenica, rivolta a tutti. E che gli autori dell’anonimo frammento scritto fossero cristiani non possiamo dirlo con certezza, ma non può nemmeno essere escluso.

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